Il ragazzo e l’airone
di Hayao Miyazaki
In anteprima condivisa tra Alice nella città e Festa di Roma, dopo la promozione sui generis in patria e un tour festivaliero alternativo rispetto al passato, arriva in Italia Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki, ultima (?) fatica di un animatore implacabile, rigoroso, cristallino. Un fantasy intimista, densissimo, crepuscolare. Miyazaki prosegue lungo il sentiero tracciato da Si alza il vento, trovando per l’ennesima volta un equilibrio perfetto tra realtà e immaginazione, passato e futuro, aspirazioni e rimpianti, vita e morte.
Tema del soldato eterno
Spinto dal desiderio di rivedere sua madre, Mahito, un ragazzo di 12 anni, si avventura in un regno abitato dai vivi e dai morti. Un luogo fantastico dove la morte finisce e la vita trova un nuovo inizio. Una storia sul mistero della vita e la creazione… [sinossi – romacinemafest.it]
Passerà settembre
Passerà novembre
E io non tornerò
Forse manca poco
Forse è solo un gioco
– Tema del soldato eterno e degli aironi, Roberto Vecchioni
Delle due ore de Il ragazzo e l’airone continuano a frullarci in testa, a passarci davanti agli occhi, soprattutto due immagini. La prima: Mahito corre disperato e deformato verso il fuoco, poi avvolto dalle fiamme, imperfetto e tragico. La seconda: Mahito è appena uscito della sua stanza, che vediamo per pochi istanti vuota, lasciata alle spalle, un’immagine che è già ricordo, passato, rimpianto. Da qui, già da questi due frammenti, possiamo perderci nell’estetica, nella poetica e nell’etica miyazakiana. Come sempre stratificato, leggibile da un pubblico molto ampio, adulto e bambino, il cinema di Miyazaki gira su se stesso, recupera temi e character design, e mette il piede in tre scarpe: il passato, il presente, il futuro. Di Miyazaki, dello Studio Ghibli, della sua famiglia.
Nella sequenza d’apertura, dopo mezzo secolo abbondante di linee chiare e tondeggianti, Miyazaki s’incammina lungo un altro sentiero, per lui nuovo, forse un tempo impensabile. La mente corre inevitabilmente alla corsa rabbiosa della protagonista ne La storia della principessa splendente di Isao Takahata (regista ma non animatore, a suo modo più libero dal punto di vista squisitamente grafico), ma anche alle mirabilie estetiche di Masaaki Yuasa, a una deformazione che è oramai prassi nell’industria degli anime, tanto da abbondare anche nella serialità mainstream. Miyazaki non si lascia alle spalle tutto quel processo grafico iniziato con (e grazie a) Yasuji Mori e Yasuo Ōtsuka già ai tempi lontanissimi della Toei Dōga, ma sembra quasi farsi carico di un altro passato, anche ingombrante, che non tornerà più: le bombe incendiarie che devastano la città si riallacciano prontamente a Una tomba per le lucciole, ma anche a Si alza il vento, a quel ribaltamento di ruoli tra Miyazaki e Takahata nei film del 2013 che riecheggiavano la doppia uscita del 1988. Dalla corsa di Mahito, dalle linee volutamente imperfette e traballanti, non emerge magistralmente solo la disperazione del protagonista e l’anticipazione di un lutto imminente, ma anche il lungo addio a Takahata, alla sua poetica affine ma diversa, complementare.
In questo incipit si riversa una stratificata serie di temi. Il brusco risveglio dal sonno\sogno, che era poi l’inizio di Si alza il vento, ovvero il ritorno anche sul piano poetico miyazakiano a una realtà che sarà ben presto martoriata dalla guerra, un ribaltamento della prassi narrativa e immaginifica ghibliana. La nota personale e dolorosa della lunga degenza della madre, qui portata alle estreme conseguenze e che non troverà, nonostante il rifugio in campagna, la rassicurante magia de Il mio vicino Totoro, collocando Il ragazzo e l’airone in una dimensione fantasy molto più affine alla cupa realtà. La rappresentazione diretta, realistica, non filtrata dalla dimensione fantastica, della guerra e dei bombardamenti che Miyazaki ha visto e vissuto da bambino: volendo ragionare per dittici, appare evidente la differenza tra la guerra collocata in un altro tempo e in una dimensione mitica di Nausicaä della Valle del vento e Princess Mononoke e il conflitto tragicamente vero raccontato con fedeltà grafica e storica nei due ultimi Si alza il vento e Il ragazzo e l’airone. Il fuoco accecante, le fiamme che divorano la chiarezza dei tratti, il dolore percepibile di Mahito e il suo volto e il suo corpo deformati segnano, anche graficamente, un passaggio fondamentale della poetica miyazakiana, sempre più vicina alla resa dei conti, alla fine di tutto. Non è adesso, non è più, il tempo de Il castello errante di Howl, della messa in scena favolistica della guerra, della sua esorcizzazione. Non è il tempo dei moniti pacifisti di Nausicaä, Laputa, Conan o Porco Rosso. Oramai è arrivato il tempo di affrontare i fantasmi, di metterli in scena senza sconti, di fare quello che ha fatto e avrebbe fatto Takahata. Nel tradire la sua linea chiara, Miyazaki ci (ri)porta in quella dimensione storica e personale che aveva sempre colorato, abbellito, trasfigurato, collocandosi non solo al fianco del suo mentore e poi sodale Takahata, ma anche assai vicino a Shinya Tsukamoto e alle sue recenti e straordinarie riflessioni sulla brutalità della guerra – quella sorta di trilogia composta da Fires on the Plain, Killing e Shadow of Fire, ennesima preziosissima testimonianza della centralità nell’immaginario nipponico del disastro bellico e delle sue conseguenze.
Se il fuoco divampa e sconvolge il quadro miyazakiano, l’immagine della stanza vuota non è meno potente e a suo modo folgorante. In quell’istante, in quella calma apparente, ritroviamo in realtà buona parte del senso de Il ragazzo e l’airone. La debordante potenza immaginifica miyazakiana, il portato letterario delle sue opere, da Lewis Carroll fino a Genzaburō Yoshino, passando per molte altre citazioni e rimandi1, ma anche tutta la parabola dello Studio Ghibli, dalla miracolosa fondazione post-Nausicaä fino alla recente vendita, sono racchiuse lì, in quella stanza, in quel vuoto. E voi come vivrete? E tu come vivrai?
Come vivrà lo Studio Ghibli in un futuro oramai prossimo? Come reggerà questo luogo che è sostanzialmente altro rispetto all’industria degli anime? E, soprattutto, chi lo terrà in equilibrio aggiungendo nuovi pezzi? A differenza del finale di Mononoke, col piccolo kodama che riempie emotivamente un’inquadratura altrimenti vuota, tragicamente definitiva, nella stanza che si lascia alle spalle Mahito c’è la consapevolezza della fine di un’epoca. Anche per questo, forse, Miyazaki non ha annunciato il suo ennesimo ritiro. Anzi, come riportato dall’indispensabile Toshio Suzuki, è già alacremente al lavoro su nuove idee, su un nuovo film.
Passato, presente e futuro si intrecciano ne Il ragazzo e l’airone. Il passato della guerra, il presente incerto dello Studio Ghibli, il futuro della Casa del Maiale (Butaya). Costruita nel 1998, la casa del maiale è il luogo rifugio di Miyazaki, il punto di partenza dei suoi eterni ritorni – lì, in teoria, si sarebbe dovuto godere la pensione dopo i fasti e le terribili fatiche di Mononoke. Da lì è sempre tornato, ha ricostruito i suoi mondi, il suo universo immaginifico. Ha sempre ritrovato il giusto equilibrio, i pezzi necessari per non far crollare tutto, per non far collassare il sogno – perché lo Studio Ghibli è produttivamente artisticamente economicamente irripetibile e in un certo senso irreale. Il ragazzo e l’airone è un’opera destinata ai suoi eredi, anche a quelli artisticamente mancati, anche a Gorō. In quella stanza vuota rimbomba più di una consapevolezza e nel volto scavato del prozio non possiamo non riconoscere Miyazaki e il suo spirito (fin troppo?) inflessibile, rigoroso, onesto.
A tratti abbacinante, Il ragazzo e l’airone non cerca di replicare la costante (e costosa) perfezione dei fondali e delle animazioni di Mononoke, forse l’apice squisitamente pittorico dello Studio Ghibli. Una sequenza, però, è di imponente bellezza, persino soverchiante. Siamo all’atto culminante della storia, nel cuore pulsante della dimensione fantasy, tra i vivi e i fantasmi. Mahito, il prozio, una pietra gigantesca e un cielo che riesce a fondere insieme realtà e fantasia, fotorealismo e sfrenata immaginazione: esistono quelle nuvole? Possono essere davvero così belle? Come nell’incipit, come nella perfezione del chara design di Himi, Miyazaki ci mette di fronte alla forma più alta dell’arte dell’animazione e ci ricorda, qualora fosse necessario, che nella filosofia ghibliana forma e contenuto viaggiano a braccetto.
Il ragazzo e l’airone è una città incantata dai contorni quasi orrorifici (il bombardamento, le rane, la finta madre fatta d’acqua, gli animali divoratori) ma è anche una sorta di ritorno in quella incompresa terra di mezzo che era\è Terramare di Gorō Miyazaki, tra le figure centrali della lunga e infruttuosa ricerca ghibliana di un possibile erede. Ma chi potrebbe rifugiarsi nella casa del maiale per tenere in piedi questo mondo tanto incantato quanto estenuante? Nessuno. E la stanza, alla fine, resterà probabilmente vuota.
Note
1 La dirompente forza pittorica della pellicola intreccia suggestioni altissime, da Böcklin a Magritte, in un viaggio visivo e narrativo dai contorni danteschi, evidenti e al contempo sfuggenti. In tal senso, si suggerisce la lettura della dettagliata analisi di Giuseppe Gangi su OndaCinema.
Info
Il trailer de Il ragazzo e l’airone.
- Genere: animazione, avventura, drammatico, fantasy
- Titolo originale: Kimitachi wa Dō Ikiru ka
- Paese/Anno: Giappone | 2023
- Regia: Hayao Miyazaki
- Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
- Fotografia: Atsushi Okui
- Montaggio: Akane Shiraishi, Rie Matsubara, Takeshi Seyama
- Interpreti: Aimyon, Jun Fubuki, Jun Kunimura, Kaoru Kobayashi, Karen Takizawa, Kō Shibasaki, Keiko Takeshita, Masaki Suda, Sawako Agawa, Sōma Santoki, Shōhei Hino, Shinobu Ōtake, Takuya Kimura, Yoshino Kimura
- Colonna sonora: Joe Hisaishi
- Produzione: Studio Ghibli, Tōhō Company
- Distribuzione: Lucky Red
- Durata: 124'
- Data di uscita: 01/01/2024