Festival di Cannes 2024 – Bilancio
Alla fine ha trionfato il cinema indie statunitense con Anora di Sean Baker, Palma d’oro in un lotto di premiati preventivabili: All We Imagine as Light di Payal Kapadia, Emilia Pérez di Jacques Audiard, Grand Tour di Miguel Gomes e tutto quel che segue. Ovviamente non sono mancate le polemiche, puntualissime anche per i premi del Festival di Cannes 2024. In fin dei conti, sono le regole del gioco. Più dei vincitori, però, ci interessa un quadro generale, uno dei tanti possibili.
Ad esempio, allargando lo sguardo dal Festival di Cannes 2024 a un buon numero di edizioni passate, più o meno un paio di decenni, è stato quantomeno interessante recuperare il documentario sudcoreano Walking in the Movies, un zoppicante omaggio a Kim Dong-ho, figura centrale del Busan Film Festival e dell’industria cinematografica sudcoreana. Ospitato nella sezione Cannes Classics, accanto a ben più strutturati documentari sul cinema e sui suoi protagonisti (Elizabeth Taylor: The Lost Tapes di Nanette Burstein, Jim Henson Idea Man di Ron Howard, Faye di Laurent Bouzereau…), il film realizzato da Kim Lyang è più che altro la testimonianza del rapporto tra Cannes e l’industria sudcoreana, un legame cementificato anche attraverso Busan e decennali frequentazioni professionali\amichevoli – si veda il goliardico Tiger Club, la costanza di Thierry Frémaux e la sua capacità di essere uno e trino. I risultati di questo canale privilegiato, cementificato nel corso del tempo, non si limitano ai nomi in concorso e a colpacci tipo Parasite, ma passano soprattutto per la costante selezione di blockbuster sudcoreani come il solido Veteran 2 di Cannes 2024 – basta fare qualche passo indietro per ripescare il magnifico The Wailing.
Non si vive di sola Corea, o di solo cinema asiatico, e quindi buttiamo un occhio alla vera novità del Festival di Cannes 2024: il cinema d’animazione. Presente a singhiozzo sulla Croisette, spesso ignorato o mortificato, il cinema d’animazione era presente in gran numero e in varie forme in questa edizione. Un caso? Probabilmente sì, una presenza numericamente rilevante legata esclusivamente allo straordinario stato di salute dell’industria transalpina – infatti, non a caso, tutte le pellicole erano francesi o quantomeno in coproduzione, come il nippo-transalpino Ghost Cat Anzu di Yōko Kuno e Nobuhiro Yamashita e il franco-lettone Flow di Gints Zilbalodis. Ci tocca ricodare, per contestualizzare un po’, il trattamento non proprio favorevole riservato all’amabilissimo Jean-François Laguionie, relegato col suo poetico e autobiografico Slocum et moi nelle quasi invisibile (per la stampa) sezione Cinéma de la Plage – come accadde a Le Sommet des Dieux di Patrick Imbert e Mars Express di Jérémie Périn, senza dimenticare il parcheggio alla Semaine di J’ai perdu mon corps di Jérémy Clapin e soprattutto quello de La storia della principessa splendente di Isao Takahata alla Quinzaine. Il premio allo Studio Ghibli, con la cerimonia impreziosita da quattro meravigliosi cortometraggi miyazakiani (Mei and the Kitten Bus, Looking for a Home, Mr. Dough and the Egg Princess e Boro the Caterpillar), potrebbe indurci alla speranza, ma la presenza in concorso de La Plus Précieuse des marchandises di Michel Hazanavicius e la selezione generosa di Angelo dans la forêt mystérieuse di Alexis Ducord e Vincent Paronnaud ci sembrano la cartina tornasole di un modus operandi finalizzato alla consueta promozione e glorificazione della produzione francese. Poi, certo, se lo possono ampiamente permettere…
Il discorso sull’animazione vale in realtà per la filosofia a tutto tondo di Cannes e per la straordinaria ramificazione dell’industria cinematografica francese a ogni latitudine e longitudine. Un post-colonialismo cinematografico che corre sempre il rischio di appiattire quelle cinematografie dalle spalle ancora strette. E allora, in questo senso, ben vengano la vittoria di Anora, la rilevanza del cinema statunitense, il cambio generazionale – ma anche lo spazio a opere-mondo come Megalopolis di Coppola, proprio nell’anno di Napoléon di Abel Gance, senza dimenticare l’altro grandioso totem I sette samurai di Kurosawa. Cinema immenso e irripetibile. Megalopolis ci riporta ad Anora e alle polemiche, a questa idea molto (ingenuamente) cinefila e poco critica che possa esistere una sola verità, di solito la propria, infallibile e indiscutibile. Ovviamente non è così, lo capirebbe anche un bambino, ma è anche questa follia cinefila a tenere in vita i festival, a gonfiare le code, a far girare anche nei modi più trasversali film altrimenti destinati all’oblio. Quindi prendiamoci tutto, ma a piccole dosi.
Per l’ennesima volta centro dell’universo cinematografico per un paio di settimane, il Festival di Cannes 2024 è il punto di partenza di gran parte dei film selezionati, anche quelli di ACID o della Semaine, sezioni che è più complicato seguire. Li rivedremo nei festival di secondo, terzo e quarto giro, fino ai più piccoli. Li rivedremo nelle sale, persino quelle italiane – in questo caso, lo sappiamo, non tutti. Li rivedremo sulle piattaforme, in home video, soprattutto gli attesi restauri, dal misconosciuto Tasio al sempre splendido ed eternamente giovane Les Parapluies de Cherbourg. Anche questo è il ruolo e il potere di Cannes, forse con meno punte eccellenti nel concorso di questa edizione ma con un ampio numero di titoli più che interessanti in tutte le tante (troppe!) sezioni. Alcuni titoli in ordine sparso, a parte i già citati: Le Deuxième Acte di Quentin Dupieux, I dannati di Roberto Minervini, Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos, Bird di Andrea Arnold, L’Invasion di Sergei Loznitsa, Oh, Canada di Paul Schrader, Twilight of the Warriors: Walled In di Soi Cheang, Caught by the Tides di Jia Zhangke, The Substance di Coralie Fargeat, C’est pas moi di Leos Carax, The Shrouds di David Cronenberg, Rendez-vous avec Pol Pot di Rithy Panh, Miséricorde di Alain Guiraudie, Sauvages di Claude Barras, Hayao Miyazaki and the Heron di Kaku Arakawa, L’arte della gioia di Nicolangelo Gelormini e Valeria Golino, The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof, Nasty di Tudor Giurgiu, Cristian Pascariu e Tudor D. Popescu… aggiungiamo Horizon: An American Saga, impresa titanica e un po’ folle di Kevin Costner, sull’orlo del baratro. Ha pronto il secondo, cerca finanziamenti per il terzo e il quarto capitolo. Cannes serve anche a questo.