Rancho Notorious

Rancho Notorious

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Rancho Notorious è il terzo e ultimo western della carriera di Fritz Lang dopo Il vendicatore di Jess il bandito e Fred il ribelle. Un’opera astratta, quasi completamente girata in interni e dominata dai temi cari al regista tedesco a partire dalla vendetta e dal crimine come società a se stante. Con Marlene Dietrich nella parte dell’iconica Altar Keane.

The Legend of Chuck-a-Luck

Quando la sua fidanzata viene brutalizzata e uccisa nel corso di una rapina, il semplice cowboy Vern Haskell decide di mettersi sulle tracce dell’assassino per vendicarsi. Dopo un lungo peregrinare scopre che si nasconde a Chuck-a-Luck, sorta di nascondiglio per criminali gestito dall’algida e sensuale Altar Keane… [sinossi]
«O listen … listen well:
Listen to the Legend of Chuck-a-Luck, Chuck-a-Luck,
Listen to the song of the gambler’s wheel,
A souvenir of a bygone year,
Spinning a tale of the old frontier
And a man of steel,
And the passion that drove him on, and on, and on.
It began, they say, one summer’s day
When the sun was blazing down;
‘Twas back in the early Seventies
In a little Wyoming town.
So, listen to the Legend of Chuck-a-Luck, Chuck-a-Luck,
Listen to the Wheel of Fate
As round and round with a whispering sound
It spins, it spins
The old, old story of
Hate, Murder and Revenge!»
Ken Harby, The Legend of Chuck-a-Luck

Rancho Notorious, questo western oramai quasi dimenticato e dal titolo a dir poco criptico – pare che fosse stato scelto dal produttore Howard Welsch al posto dell’assai più chiaro The Legend of Chuck-a-Luck proprio per evitare che il pubblico statunitense avesse difficoltà di comprensione: misteri del cinema… – segna la terza e ultima incursione nel genere da parte di Fritz Lang, a oltre un decennio di distanza dai due precedenti, vale a dire Il vendicatore di Jess il bandito e Fred il ribelle. Non è certo difficile scorgere nelle pieghe della trama i motivi che spinsero il regista tedesco ad affrontare questa avventura produttiva. Nel soggetto di Silvia Richards e nella sceneggiatura di Daniel Taradash (negli anni seguenti suoi gli script tra gli altri di Da qui all’eternità di Fred Zinnemann, per il quale vinse il Premio Oscar, e Picnic di Joshua Logan; nel 1956 tenterà anche la via della regia con il curioso Al centro dell’uragano, che può essere considerato a tutti gli effetti il primo film anti-maccartista della storia di Hollywood) si possono infatti rintracciare gran parte dei temi e delle ossessioni di Lang, dalla vendetta come pulsione naturale e prettamente umana, l’eterno agone tra bene e male, la tensione verso la giustizia, la genialità del male e la rappresentazione del microcosmo criminale come una società a se stante. È senza dubbio quest’ultimo uno degli aspetti più indicativi per cogliere il senso di un film solo all’apparenza semplice, ma in realtà giocato su tipizzazioni psicologiche condotte fino alle estreme conseguenze.

Il centro del discorso ruota tutto attorno a tre elementi, il primo immateriale, il secondo legato a un luogo e il terzo legato a un personaggio. Questa sorta di triade, o per meglio definirlo di triangolo scaleno, parte dalla concezione stessa del genere: il western, l’elemento americano per eccellenza, il mito stesso del cinema statunitense. Rancho Notorious sembra a prima vista rispettare gran parte delle regole del genere, ma in realtà Lang ragiona sulla mitopoiesi con astrazione quasi brechtiana, facendo leva su uno straniamento che riporta alla mente anche la остранение di Sklovskij. Questa scelta fortemente antinaturalistica è l’ultimo approdo di Lang nel selvaggio west, la propria rivendicazione di un retroterra culturale europeo, la non accettazione dell’ovvietà del Mito ma semmai la necessità di una rilettura continua, di un aggiornamento senza sosta.
Il secondo elemento è un luogo fisico, il leggendario Chuck-a-Luck gestito da Altar Keane, nascondiglio ufficiale per tutti i criminali disposti a cedere il 10% dei profitti delle proprie attività illegali. Un luogo a sua volta mitico, reame che non ha collegamenti col mondo esterno, sorta di bizzarro e geniale punto di incontro tra Shangri-La e Brigadoon e il classico ritrovo di criminali e biscazzieri dei racconti d’avventure, quello stesso ritrovo che Lang ha descritto in lungo e in largo nel corso della sua carriera e che troverà il punto d’approdo ideale pochi anni più tardi nel fiammeggiante e sublime Il covo dei contrabbandieri, limpido gioiello che guarda dalle parti di Robert Louis Stevenson. Chuck-a-Luck diventa ben presto il vero protagonista del film, trasformando Rancho Notorious in un western volutamente asfittico, in cui l’aria aperta viene respirata solo durante gli inseguimenti a cavallo, e nulla più. Un kammerspiel in piena regola, ennesima occasione per ribadire la riappropriazione di un immaginario europeo. A Lang, che fa di necessità virtù – la scelta di girare la maggior parte delle sequenze al sicuro tra quattro mura è legata a doppio nodo alle scarse possibilità economiche a disposizione: gestire un set artefatto e chiuso è assai più semplice e meno dispendioso di spedire un’intera troupe nel bel mezzo dell’arida Arizona, o del polveroso Texas – viene incontro il geniale scenografo newyorchese Wiard Ihnen, già al lavoro senza essere accreditato su La guerra lampo dei fratelli Marx e quindi sodale di Lang ne Il vendicatore di Jess il bandito e Duello mortale. Tra l’asciutto rigore di alcune soluzioni e il barocchismo dichiarato di altre Rancho Notorious si segnala come una delle più acute riflessioni sullo spazio chiuso come esteriorizzazione delle psicologie, ma anche solo delle indoli dei protagonisti della vicenda. A partire ovviamente da Altar Keane.

È lei, non è neanche necessario specificarlo, il terzo elemento che compone il trittico sul quale si fonda questa basica e ramificatissima vicenda – prima di giungere a una conclusione Vern ne deve fare di strada, e ne deve compiere di azioni, anche contro la propria etica e la propria morale. È lei, Altar Keane, a possedere le chiavi d’accesso al senso intimo di Rancho Notorious. Traslando nel vecchio west i chiaroscuri tipici della femme fatale del noir Lang compie un’ulteriore mossa in direzione dell’astrazione, ma ne crea gli anticorpi affidando il ruolo a Marlene Dietrich, in una delle ultime interpretazioni della sua folgorante carriera (se si escludono cameo e registrazioni vocali la grande attrice tedesca successivamente apparirà solo in altri cinque film: Montecarlo di Samuel A. Taylor, a fianco di Vittorio De Sica, Testimone d’accusa di Billy Wilder, L’infernale Quinlan di Orson Welles, Vincitori e vinti di Stanley Kramer, e Gigolò di David Hemmings). Impossibilitato a demitizzare il simbolo stesso della femme fatale, Lang le costruisce un altare – Altar è dopotutto il nome del suo personaggio – e la innalza al grado di divinità, dominatrice tragica e irrisolta, costretta a crollare infine sotto il peso dei propri sentimenti umani.
In questa sarabanda tragica, che non prevede trionfatori nonostante si concluda nel modo più classico possibile, con l’eroe che si allontana a cavallo dal luogo della sparatoria, Lang costringe il western a duettare – o forse a duellare – con il romanticismo della Germania del Diciannovesimo Secolo. Tra i Racconti notturni di von Kleist e i racconti del west di Ford e Hawks Fritz Lang trova una sua posizione, nel mezzo. Una posizione intellettuale, tentativo di trovare un punto di raccordo tra nuovo e antico, tra la velocità del moderno e la compassata postura dei tempi andati. Rifuggendo il classicismo ma senza cadere tra le braccia del naturalismo. Anche per questo Rancho Notorious rimane una creatura aliena, che dialoga forse solo con il Johnny Guitar di Nicholas Ray, che arriverà un paio di anni più tardi. E la Altar Keane di Dietrich che muore per salvare il suo amore e la Vienna di Joan Crawford che si riabilita agli occhi degli abitanti del villaggio parlano la stessa lingua. Quella delle donne, quando non vengono meschinamente ridotte a puri stereotipi privi di identità.

Info
Il trailer di Rancho Notorious.
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