Torino 2016 – Minuto per minuto

Torino 2016 – Minuto per minuto

Eccoci nuovamente all’ombra della Mole per il Torino Film Festival 2016, all’inseguimento di opere prime (seconde e terze), documentari italiani e internazionali, retrospettive, omaggi, (ri)scoperte.

Torino 34, TFFdoc, Onde, After Hours, Festa Mobile, fantascienza (parte seconda), punk, e chi più ne ha più ne metta. La cronaca del Torino Film Festival 2016, fatta un po’ come ci pare, tra annotazioni, impressioni e critichelle lampo, forse neve, sicuramente pioggia, freddo pungente, chiacchiere cinefile, passioni e delusioni. In caso, buona lettura…

 

Sabato 26 novembre

19.40
Ed ecco dunque i premi ufficiali:
Il concorso internazionale lungometraggi viene vinto da The Donor del cinese Zang Qiwu (che si porta a casa anche il riconoscimento per la sceneggiatura), il premio speciale della giuria va a Los decentes di Lukas Valenta Rinner, mentre i migliori attori sono Rebecca Hall e Nicolas Duran, rispettivamente per Christine di Antonio Campos e Jesus di Fernando Guzzoni. Il pubblico, infine, premia We Are the Tide di Sebastian Hilger.
Capitolo documentari. Internazionale.doc va al siriano Houses Without Doors di Avo Kaprealian, con il premio speciale della giuria che se lo aggiudica Carmit Harash per Attaque. È invece Saro di Enrico Maria Artale a vincere Italiana.doc, con il premio speciale della giuria a Moo Ya di Filippo Ticozzi e una menzione speciale a A Bitter Story di Francesca Bono.
Il premio FIPRESCI è per Les derniers parisiens di Hamè Bourokba e Ekoué Labitey, il premio Cipputi per Old Stone di Johnny Ma. Fine delle comunicazioni, per ora. [r.m.]

16.15
In attesa dei premi ufficiali, un antipasto coi collaterali:
– Premio Scuola Holden a Lady Macbeth di William Oldroyd
– Premio Achille Valdata a We Are the Tide di Sebastian Hilger
– Premio Avanti a The Donor di Qiwu Zang
– Premio Gli Occhiali di Gandhi a Les vies de Thérèse di Sebastien Lifshitz, Menzione speciale a Wrong Elements di Jonathan Littell, Menzione speciale a Avant les rues di Chloè Leriche
– Premio Interfedi a Avant les rues di Chloè Leriche, Menzione speciale a Spectres Are Haunting Europe di Maia Kourkouta e Niki Giannari. [e.a.]

16.08
In Anatolia, nel corso di un antico rito di guarigione, una donna si ritrova immersa in un sogno a occhi aperti, seguendo il percorso ipnagogico della propria mente. Nelle sue peregrinazioni mentali a guidarla c’è il centauro Chirone, che la pungola e di fatto la interroga con gli strumenti della psicanalisi, dell’interrogatorio, della messa in discussione veemente, accompagnandola in un viaggio nel tempo e nei propri ricordi a 360°, privo di barriere e aperto alla conoscenza, da parte dell’autrice, della propria storia personale e di frammenti di Storia collettiva. Siamo nel 1915, al tempo del genocidio armeno…La regista di origine turca Güldem Durmaz in Kazarken, in concorso in Internazionale.doc, si lascia affiancare, in un ruolo impostato a mo’ di partecipazione amichevole e ritagliato su misura sulla sua fisicità, dall’amico Denis Lavant e dà vita a un progetto di grande ambizione assemblato nell’arco di ben tredici anni. L’affresco è seducente e avvolgente e si colloca di sicuro tra le cose più interessanti viste quest’anno nella sezione TFFDoc, anche se di tanto in tanto fanno capolino al suo interno lungaggini, squilibri e passaggi stonati, dovuti soprattutto alla natura rapsodica ed eterogenea dell’operazione. Che rimane comunque da segnalare, specie per la maniera di illuminare la storia frastagliata e controversa della Turchia di ieri e di oggi… [d.s.]

16.05
Nella sezione Afterhours del TFF di quest’anno ha trovato posto anche #Screamers, horror in found footage con tanto di hashtag in dotazione fin dal titolo. Si tratta della storia di due giovani imprenditori di Cleveland che insieme ai loro altrettanto energici e freschi collaboratori ottengono un enorme successo con una web company che raccoglie i video spaventosi generati dagli utenti. Dietro uno di questi “user generated content”, non a caso il più redditizio in assoluto tra tutti, si nasconde però un mistero legato a una ragazza scomparsa che si andrà via via rivelando sempre più fitto e agghiacciante: si tratta, infatti, di uno snuff movie in piena regola nel quale viene mostrato senza mezzi termini il suicidio della donna…Quello di Dean Matthew Ronalds è un trascurabile mockumentary che avrebbe idee a sufficienza appena per un cortometraggio, non certo per gestire una tensione e un appeal degni di un’ora e venti. Il risultato è un’accozzaglia di trite soluzioni standard comuni a decine e decine di prodotti analoghi in found footage, a riprova dell’abuso scriteriato nonché spesso inconcludente e poco consapevole che si fa di tale pratica…l’unico spunto interessante, ovvero la connessione degli elementi horrorifici con le affascinanti oltre che inquietanti dinamiche del web contemporaneo (“Se gli utenti interrogano i motori di ricerca, perché essi non dovrebbero interrogare gli utenti e conoscerli a loro volta?”), è superficialmente e grossolanamente sprecato da una prima parte più verbosa e didascalica alla quale non viene dato adeguato seguito, approdando a un finale se possibile ancor più rivedibile…In compenso, alla fine della proiezione serale al Reposi, il regista ha lanciato un paio di maschere mostruose tra la platea, che si è data assai da fare per agguantarle al volo! [d.s.]

15:30
Splendida proiezione in 35mm stamattina per Rollerball di Norman Jewison pellicola del 1975 con protagonista un coriaceo James Caan, oggetto di un fiacco remake ufficiale nel 2002 ad opera di John McTiernan ed evidente punto di partenza per la saga di Hunger Games. Inserito nella retrospettiva Cose che verranno, il film ci racconta di una società che forse è solo all’aparenza distopica, dove moderni gladiatori sui pattini, privati dell’accesso a ogni tipo di conoscenza (i libri sono banditi) fanno del loro corpo lo strumento celebrativo del potere della multinazionale Energia, e delle sue eminenze grigie. quando però a Jonathan E (Caan) viene richiesto un precoce pensionamento, un moto di ribellione sembra pervaderlo, ma lui, come i suoi compagni e l’intera società, la ribellione non sa propriamente cosa sia, né come si metta in pratica. Ritratto di una società che si alimenta della spettacolarizzazione della morte, parcellizzata in una serie di individui privi di conoscenze e dunque identità, Rollerball è un film spiazzante, che riesce ad essere intrattenimento (splendide le sequenze delle gare) e metafora sociale dai toni plumbei e apocalittici, robusto nella messinscena dell’azione, ma al tempo stesso capace di momenti di seducente rarefazione. [d.p.]

13.22
Girato nel fantasioso formato Oscilloscope, The Love Witch – presentato in Festa mobile – inizia con la maliarda protagonista, la strega Elaine, bellissima e procace, che entra in scena guidando in macchina con un ostentato effetto speciale, con il fondale appiccicato in modo posticcio, come si usava nel cinema classico. L’omaggio è esibito da subito, la regista Anna Biller costruisce un film che palpita del technicolor, che vive nella controcultura hippie degli anni Sessanta, psichedelica e lisergica, e dei B-movie alla Corman, con l’inevitabile tocco di erotismo. Parliamo di una strega bellissima, che tra ampolle e pozioni magiche, seduce gli uomini per poi ucciderli… Film piacevole a vedersi, ma l’operazione risulta a conti fatti fine a se stessa. [g.r.]

 

Venerdì 25 novembre

21.55
Caratterista di lungo corso idolatrato da Martin Scorsese e reso immortale da Walsh e Peckinpah, L.Q. Jones ha esordito alla regia con il western The Devil’s Bedroom (1964). Prima di chiudere l’esperienza dietro la macchina da presa con L’incendiario (On the Line, 1980), episodio della serie L’incredibile Hulk, Jones ha scritto e diretto il poco citato A Boy and His Dog (1975), post apocalittico un po’ sconclusionato ma davvero sorprendente. Un ragazzo in cerca di ragazze, un cane telepatico, una comunità sotterranea e alquanto decadente, dei nomadi mutanti poco raccomandabili, la quarta guerra mondiale, il fungo atomico, qualche ballata e parecchio humour nero. Ideale punto di contatto tra Glen and Randa e Mad Max, il film di Jones merita un pronto recupero nonostante lo scoraggiante titolo italiano, Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici. [e.a.]

20.55
Sembrano davvero lontanissime le ballate trascinanti, l’eccellente performance di Peter Stormare e la narrazione densissima, stratificata e condensata in settantacinque minuti di Small Town Murder Songs, opera seconda del regista e sceneggiatore Ed Gass-Donnelly. Dal 2010 a oggi, oltre al cortometraggio The Determinist, diretto a quattro mani con Kat Germain, Gass-Donnelly ha inanellato due dimenticabili pellicole thriller/horror: The Last Exorcism – Liberaci dal male, impossibile da salvare, e il più ambizioso Lavender, presentato in questi giorni al TFF. Se The Last Exorcism poteva essere letto come un doloroso ma necessario passo verso il box office (anche di un Chazelle pre-Whiplash, qui malcapitato co-sceneggiatore), in attesa di un ritorno a qualcosa di più consistente, Lavender è purtroppo un pasticcio di scrittura che sequenza dopo sequenza scialacqua quel poco che rimane del Gass-Donnelly visto nel 2010. Al prossimo giro… [e.a.]

20.25
Ekoué Labitey e Hamé Bourokba immergo i loro personaggi in una Pigalle brulicante umanità varia, spesso impegnata anima e corpo nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, in alcuni casi pronta a ghermire il quartiere, a smantellarlo, snaturarlo, gentrificarlo. Selezionato in concorso, Les derniers Parisiens insegue qualche geometria di troppo, eccede nel finale didascalico e ridondante, ma riesce a farci sentire vicini a Nasser e Arezki, fratelli che cercano di costruirsi una vita percorrendo sentieri (apparentemente) diversi. Ottimo cast, in primis Reda Kateb. [e.a.]

14.46
Lo skate e il suo popolo. In Pro loco Tommaso Lipari concentra buona parte del racconto in una collana di evoluzioni sullo skate, di città in città, di piazza in piazza, di strada in strada, di parcheggio in parcheggio. In cerca di un linguaggio continuamente cangiante, il film accumula split screen, inquadrature rovesciate, sequenze animate e lunghe riprese (si direbbe) da camera-skate (versione minimale del camera-car) con lenti deformanti. Lipari tenta una sinfonia urbana che non si prende mai sul serio, senza alcuna reale struttura espressiva. Naïf, sgangherato, talmente privo di ogni pretesa da strappare un sorriso di simpatia. E nulla più. Al TFF per Italiana.doc. [m.s.]

11.51
Come sempre affezionato a un’idea di dramma immediato e convenzionale, Philippe Lioret propone con Le fils de Jean un onesto film per il grande pubblico, che ha nella direzione d’attori uno dei suoi massimi pregi. Alle prese con un’incandescente materia narrativa (malattia, morte, confronto con la figura paterna, riscatto) l’autore francese tenta di mettere la sordina al sentimentalismo e di trattenere gli eccessi, cercando una chiave di credibilità per un cumulo di drammi incrociati. Gli attori gli danno una mano, ben calibrati sempre sul limite del lacrimoso senza cedervi mai. Onesta professionalità, nulla di nuovo né di esaltante. Al TFF per Festa Mobile. [m.s.]

 

Giovedì 24 novembre

23.08
A volte le profezie del cinema ci prendono. Quest’anno il TFF ritorna più volte sugli anni del nascente dominio televisivo nelle sue derive sensazionalistiche. Dopo il bel Christine di Antonio Campos selezionato per il concorso, adesso è il turno di un recupero interessante, La mort en direct di Bertrand Tavernier (1980), tratto da un romanzo di David G. Compton. Realizzato in un periodo in cui la tv era percepita come una mostruosa minaccia (basti pensare a Quinto potere, 1976, di Sidney Lumet), il film non fa altro che anticipare di una ventina d’anni la deriva dei reality show, degli strumenti di ripresa ovunque, dell’onnipresenza digitale. Impeccabilmente confezionato da Tavernier secondo un’idea di alta industria, il film sfiora più generi profilandosi in sostanza come un robusto melodramma leggermente futuribile, con coppia di protagonisti gli ottimi Harvey Keitel e Romy Schneider. Nessun futuro lontano: dopo 20 anni tutto ciò è diventato (grosso modo) realtà. Al TFF in Cose che verranno. [m.s.]

23.06
Sébastien Betbeder è completamente sconosciuto in Italia ma (e lo diciamo da una decina d’anni, dalla presentazione di Nuage a Locarno) è anche uno dei nomi più interessanti e personali del cinema francese contemporaneo. La conferma a Torino arriva da due film, Le voyage au Groenland (già applaudito a Cannes, dove era selezionato in ACiD) e Marie et les naufragés, ennesime incursioni nei rapporti umani, negli affetti e nel misterico. Attraverso un racconto nel racconto che è l’unico modo per affrontare la vita e le sue bizzarrie, Betbeder compone un’opera buffa e dolente, quell’incontro tra tristezza e ballabilità che cerca per le sue composizioni uno dei personaggi del film (nella realtà i brani sono di Sébastien Tellier). “E adesso cosa succede?”. [r.m.]

19.00
Procede a ritmo spedito la retrospettiva sul cinema di fantascienza. Da questa mappatura random peschiamo due titoli, il misconosciuto Mr. Freedom (Evviva la libertà, 1969) di William Klein e l’avvincente cult Rollerball (1975) di Norman Jewison. Klein orchestra una satira divertente e divertita che smonta pezzo dopo pezzo l’immaginario e l’imperialismo statunitense: attorno al mascellone di John Abbey si muovono Delphine Seyrig, Donald Pleasence, (uno spassoso) Philippe Noiret e Serge Gainsbourg, ognuno alle prese con qualche stereotipo da rispedire al mittente – merita almeno una citazione il Dick Discount di Jean-Claude Drouot. Come se Vip – Mio fratello superuomo fosse fatto di carne e ossa, ma sotto acido. Parecchio acido.
La fisicità di James Caan e John Beck. La classe e il ghigno di John Houseman. La Toccata e fuga in Re minore di Bach. Il font del titolo e dei numeri delle divise dei giocatori. I colori delle divise e il contrasto con il bianco e i cristalli dell’ufficio di Mr. Bartholomew. Le partite. I libri. Quel sottile e tragico confine tra utopia e distopia. E, ovviamente, la regia di Jewison. Rollerball è uno dei pilastri della fantascienza socio-politica degli anni Settanta. Rivederlo su grande schermo una preziosa occasione. [e.a.]

15.44
In After Hours, la sezione più prossima al genere e alle sue declinazioni è stato oggi presentato alla stampa un thriller australiano (ma con soldi statunitensi alle spalle), Safe Neighborhood. Diretto dal canadese Chris Peckover, Safe Neighborhood gioca con gli stereotipi del genere mettendo in scena il classico killer che minaccia una babysitter e l’adolescente che ha in carico di seguire durante la notte pre-natalizia; ma non tutto andrà come deve andare… Ben diretto e mediamente divertente, Safe Neighborhood non aggiunge un granché né al thriller né alla sua sardonica rilettura, ma si fa comunque vedere con piacere. Difficile francamente pretendere di più… [r.m.]

14.38
Presentato nel concorso internazionale lungometraggi, Turn Left Turn Right di Doug Seok è un viaggio in dodici capitoli (come le tracce di un ideale album) che racconta la storia di una ragazza cambogiana, della sua famiglia e incidentalmente di una nazione dal passato antichissimo e da un presente irrisolto. Tra danze tradizionali e moderne, rovine archeologiche, un’opera elegante e inventiva, che lavora di dissolvenze incrociate ed ellissi. Un piccolo film dalle spalle mature [r.m.]

13.48
E, così come parlavamo proprio qui sotto per Avant les rues, si muove sempre in tema di esotismo e di colonizzazione un altro film passato in questi giorni: La loi de la jungle, presentato in Festa mobile. La prospettiva che viene adottata dal regista francese Antonin Peretjatko però è tutt’altro che seria o seriosa, o anche con intenti di denuncia. Peretjatko usa infatti la chiave della satira, della parodia e della pochade per mettere in ridicolo l’orgoglio imperialista francese. Con un favoloso Vincent Macaigne, che interpreta uno stagista del Ministero delle Norme e si ritrova perso nella giungla della Guyana, travolto da una serie incredibile e fittissima di complicazioni e di rischi per la sua incolumità. [a.a.]

13.12
Non suscita molti entusiasmi Avant les rues, film canadese presentato nel concorso internazionale qui al festival. Diretto dall’esordiente (nel lungo) Chloé Leriche, Avant le rues finisce per ricordare molto Mange tes morts, che vinse l’edizione del 2014 proprio qui sotto la Mole. La vicenda è simile – un giovane di una comunità ai margini, disintegrata dallo stato colonizzatore e ormai schiava del consumismo (lì i rom, qui i nativi americani), si trova coinvolto in una brutta storia e non sa come uscirne – ma è la messa in scena e la personalità che cambiano. Jean-Charles Hue, regista di Mange tes morts, aveva lo spessore per ‘lasciar agire’ dall’interno quel mondo, Chloé Leriche appare sempre troppo esterna rispetto ai suoi personaggi, per cui finisce per soffrire del solito problema cui si rischia di incorrere in questi casi (quando cioè un regista, per lo più occidentale, punta lo sguardo su comunità che in un modo o nell’altro sono state in passato vittime dell’imperialismo): l’esotismo. [a.a.]

11.22
Un gruppo di ragazze, amiche dall’infanzia, ripercorrono la loro amicizia passando in rassegna fotografie e filmati. La lotta contro i brufoli, le tante diverse pettinature, lo sviluppo del corpo, i seni che prendono forma, il venire incontro a stereotipi estetici femminili imposti dalla società. La regista argentina Melisa Liebenthal vuole raccontare in Las Lindas, selezionato per il concorso internazionale, il momento cruciale per una ragazza del coming of age, dell’adolescenza. Ma la soluzione adottata appare eccessivamente verbosa, monotona e solo a fatica si riesce a coglierne il senso. [g.r.]

10.18
Hidden Photos, dell’italiano Davide Grotta, è un viaggio in Cambogia dove ancora il ricordo della Kampuchea Democratica divide la popolazione tra i superstiti degli eccidi dei khmer rossi e coloro che avevano preso parte allo scellerato regime. Un divario che si esprime anche nella fotografia. In concorso in Italiana.doc. [g.r.]

 

Mercoledì 23 novembre

21:30
È un percorso autobiografico molto intimo quello intrapreso da Enrico Maria Artale con Saro, documentario presentato oggi al festival nella sezione Italiana.doc. Si prova un certo disagio ad essere introdotti un po’ brutalmente in una storia familiare così privata, alle radici di un trauma che il regista vuole esorcizzare proprio in nostra presenza. Artale, già autore dell’interessante Il terzo tempo ha deciso infatti, circa cinque anni fa, di compiere un viaggio in Sicilia alla ricerca del padre, armato della propria telecamera digitale. Ci ritroviamo così a compiere un percorso on the road al fianco dell’autore, accompagnati dalla sua, troppo presente, voice over, che ci intrattiene ora con riflessioni di stampo teorico, ora più prettamente adolescenziali e non riesce a tacersi nemmeno di fronte al fatidico incontro con il genitore ritrovato. Diventare grandi non è cosa facile. [d.p.]

18.15
La lista nera dei dimenticati del nostro cinema è lunga, variegata e complessa da decifrare a posteriori. Vi rientrano anche i gemelli Garriba, Fabio e Mario, cui il Torino Film Festival ha reso omaggio oggi. Autori di pochissimi (e preziosissimi) titoli tra gli anni Sessanta e i Settanta – qui a Torino sono stati proiettati due corti, I parenti tutti e Voce del verbo morire, e il medio In punto di morte, che vinse il festival di Locarno nel ’71 – i due incarnavano un cinema irriverente, grottesco, anti-borghese, con tratti ed elementi che sembrano poi essere stati riproposti in certe vie prese in seguito dal cinema romano, come ad esempio il Nico D’Alessandria de L’imperatore di Roma (1987), ma anche – se non soprattutto – il Nanni Moretti delle origini, e non solo (sembra che Mario Garriba si possa considerare l’autore-ombra di Bianca). Con protagonista sempre Fabio, magro e dinoccolato, poeta e spirito eversivo, tutti questi film non tendono ad altro che all’auto-annullamento, alla morte, al nichilismo, connotati da un rifiuto veemente verso le dinamiche dei riti sociali. Spassosi, attualissimi, inventivi anche registicamente, non di rado visionari, i film dei Garriba sono da tempo finiti nel dimenticatoio, così come i gemelli stessi, morti di recente – Mario nel 2013, Fabio quest’anno – in totale silenzio. [a.a.]

17.20
I giovani cinesi di Barge e Bagnolo, due piccoli centri piemontesi ai piedi delle Alpi che al momento sono anche la seconda area di maggiore concentrazione di cinesi in tutta Europa, richiamati dalle possibilità di lavoro nell’estrazione della pietra. A Bitter Story di Francesca Bono si propone come un progetto di autonarrazione, lasciando ai ragazzi, tutti più o meno adolescenti, la possibilità di raccontarsi, tra conflitti generazionali coi genitori, giorni di scuola, rigide e poco mutevoli prospettive di lavoro. Affrontando una comunità straniera che per varie leggende metropolitane viene considerata tra le più inaccessibili in Italia, Francesca Bono non sembra in realtà andare troppo in profondità e il film si profila come una ricerca di luoghi comuni per averne conferma. Gracile e con qualche eccesso poeticistico. Al TFF per Italiana.doc. [m.s.]

16.11
“Le merendine di quand’ero bambino non torneranno più!”. Se non riconoscete questo grido di dolore, il problema è solo vostro… Scherzi a parte, sugli schermi del festival approda oggi in versione restaurata Palombella rossa di Nanni Moretti, uno dei maggiori capolavori cinematografici del cinema italiano degli ultimi trenta anni, doloroso spiazzante e ironico scandaglio della crisi del PCI, e dell’identità stessa della sinistra. Un discorso a dir poco attuale, visto il panorama contemporaneo… [r.m.]

16.08
Un cuoco russo, Nikolai, si imbatte in Varya, una donna greca dallo sguardo magnetico e dolce che lo seduce immediatamente. L’attrazione tra i due è repentina e la scintilla ci mette un attimo a scoccare, ma allo scoppio della passione in una città senza nome seguiranno le problematiche e gli inciampi di una storia d’amore dolorosissima e angosciosa, tormentata soprattutto a causa della personalità borderline di lei. La regista olandese Paloma Aguilera Valdebenito esordisce, in seno al Torino Film Lab, con Out of Love, opera prima tesa e impudica che lavora sui corpi e sullo scontro feroce di due fisicità, ansimando sui due protagonisti con una camera a mano che sembra quasi voler appiccicare lo stile dei Dardenne su una parabola sentimentale disfunzionale e tossica, fatta di sofferenza, prevaricazioni, reciproche vessazioni. La regia è coesa e compatta, oltre che perfettamente in linea con le proprie intenzioni, e la chimica tra i due protagonisti, entrambi seducenti e scelti molto bene, è alle stelle. Peccato però per qualche incertezza narrativa di troppo e per una manciata di stonate e inconcludenti ridondanze, frutto di uno sguardo vitale ma senz’altro acerbo. La sospensione malinconica del finale, ad ogni modo, colpisce al cuore in maniera né banale né telefonata. [d.s.]

16.02
Due agenti della CIA fanno irruzione alla Nasa fingendosi dei documentaristi per stanare una spia russa. Sul finire degli anni sessanta la Guerra Fredda e la contemporanea corsa verso lo spazio sono entrambe al massimo della tensione, ma i protagonisti, sotto copertura, si imbattono in una situazione che ha dell’incredibile: gli Stati Uniti sono tutt’altro che sul pezzo sul programma Apollo e rischiano seriamente di essere sorpassati a destra dalla Russia. Con un colpo di coda folle e geniale, i due decidono allora di girare un finto allunaggio in scia al bagaglio di nozioni e all’eredità preziosa di Stanley Kubrick, che una celeberrima teoria complottista è solita identificare proprio come autore in segreto delle immagini dello sbarco sulla Luna… Operation Avalanche di Matthew Johnson è una delle commedie più folgoranti e inventive viste quest’anno al Torino Film Festival, un mockumentary in found footage basato su materiali che si immaginano recuperati per davvero. Attraverso l’impeccabile dispositivo del finto documentario, ammiccante e ironico quanto perfettamente al servizio della storia e dei suoi risvolti ridanciani e paradossali, il film si snoda tra levità e risate prendendo in giro in maniera scatenata l’oggetto della satira, con un piglio filologico irresistibile e (naturalmente) posticcio. Efficace anche la dimensione spionistica della vicenda, che aggiunge non poco pepe a una confezione già di suo estremamente godibile, sospesa tra parodia e paranoia. [d.s.]

13.46
Memoria, significato, comunicazione, traduzione. Terceiro andar di Luciana Fina è una riflessione sul linguaggio è sulle trasmigrazioni del senso, sottoposto a incessanti mutazioni da un canale all’altro. Anche l’inanimato svela così forme proprie di linguaggio, a volte determinate dall’intervento umano, a volte del tutto indipendenti e impenetrabili. A sua volta il cinema è capace di creare nuove interconnessioni tramite le risorse di uno sguardo più potente di quello umano. Terceiro andar è anche una parola spesa in favore dell’ottimismo della comunicazione, impresa disperata, ma sempre da tentare. Affascinante e suggestivo. Al TFF per Internazionale.doc/Love. [m.s.]

11.32
È tempo di satira aggressiva dal Sudamerica. Dopo il nudismo destabilizzante di Los decentes, oggi è il turno di uno sberleffo messicano al capitalismo e più ancora all’incapacità umana di azione collettiva e indipendente. Maquinaria Panamericana di Joaquin del Paso passa in concorso al TFF con onesto spirito provocatorio, ma il fiato è corto, le polveri bagnate, le conclusioni più che risapute. Ennesimo apologo sulla rivoluzione impossibile, specie se non si tratta di vera rivoluzione ma di una semplice continuazione riveduta e corretta del passato. Non disprezzabile, non entusiasmante. [m.s.]

11.11
Melissa Dullius e Gustavo Jahn: il cargo con cui arrivarono in Europa dal Brasile, la vita berlinese, le feste, l’arte, le sniffate. Autobiografia in pellicola e quasi in tempo reale, Muito romântico è un appassionato e divertito viaggio nella storia d’amore e vita della coppia che diventa anche occhio sul mondo, sul cinema sperimentale e sulla decadenza di Berlino. Tra godardismi assortiti, un piccolo gioiello contemporaneo e antichissimo allo stesso tempo. In Onde. [r.m.]

02.34
Promemoria della buonanotte (o del buongiorno per chi stesse legittimamente già dormendo): domattina alle 11.45 al Reposi 4, all’interno dell’omaggio al punk, verrà proiettato Jubilee, forse il capolavoro del cinema di Derek Jarman. A buon intenditor… [r.m.]

 

Martedì 22 novembre

22.10
Presentato nella sezione Love, fuori concorso in Internazionale.doc, Donna Haraway: Story Telling for Earthly Survival è il ritratto della scrittrice di fantascienza, femminista, naturalista statunitense Donna Haraway. Un tentativo di sperimentare nuove forme di storytelling del documentario, dove però a essere sminuita e sacrificata è la stessa protagonista. [g.r.]

21.54
La regista israeliana ma parigina d’adozione Carmit Harash torna a Torino, in Internazionale.doc, per presentare il suo nuovo film. Attaque è il compendio ideale al precedente Où est la guerre, e cerca di entrare ancora di più nel corpo vivo di una Francia (che si crede) progressista e democratica e non sa accettare il terrorismo islamico che cova al suo interno. Tra manifestazioni, gay parade, il Natale alle porte e spezzoni video rubati qui e là, Harash propone un blob sulfureo e non privo di sarcasmo sulla “patria della rivoluzione”. [r.m.]

19.42
Dopo Rat Film, di cui parliamo subito sotto, arriva un altro grande documentario/saggio dal concorso di Internazionale.doc: Spectres Are Haunting Europe. Diretto da Maria Kourkouta e Niki Giannari, il film – dall’evidente titolo marxista – mette in scena il dramma di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, dove migliaia di profughi (siriani e curdi soprattutto) sono rimasti bloccati all’inizio dell’anno in seguito alla decisione, da parte della Commissione Europea, di chiudere le frontiere. La terribile condizione di queste popolazioni viene resa dalle due registe attraverso una sguardo che privilegia il dettaglio (come ad esempio le scarpe consumate o stralci di conversazione) e il punto di vista stretto su volti, corpi e azioni (il camminare infinito, in particolare) con una lucidità e una partecipazione sconvolgenti. Fino all’ultima parte, in cui si passa improvvisamente a una dimensione lirica, e allora la condanna dell’Europa odierna e il richiamo a ideologie e idee rimosse dal presente del Vecchio Continente, come il marxismo e l’internazionalismo, tornano a noi come uno schiaffo e un monito. Perché il 26 settembre del 1940 Benjamin si uccise nel momento in cui si vide negare la possibilità di oltrepassare le frontiere… [a.a.]

18.24
I ratti sono anche uno spazio, rimosso e marginalizzato, in cui l’essere umano estrinseca una delle sue infinite forme di razionalizzazione. Partendo da finti intenti di ricognizione urbana nella città di Baltimora sulle cosiddette problematiche di igiene e salute, Theo Anthony in Rat Film offre in realtà un’amplissima riflessione su uomo e società, sul tempo e l’empirismo, su storia e antropologia, su spazio fisico e spazio digitale. Ipnotico, affascinante, un saggio filosofico per suoni e immagini dalle sconfinate espansioni di senso. In concorso in Internazionale.doc. [m.s.]

16.45
L’opera prima di Thomas Kruithof, La mécanique de l’ombre, è una spy story claustrofobica in bilico precario tra Le vite degli altri, I tre giorni del Condor e La conversazione: paranoia, complotti, la consapevolezza di un sistema che ci spia, ci manipola, ci butta via. L’architettura di Kruithof poggia le proprie fondamenta sulle performance misurate ed efficaci di François Cluzet, Denis Podalydès e Sami Bouajila (menzione maritata anche per Simon Abkarian), sulla scelta di girare soprattutto in interni – grigi, opprimenti – e sul contrappunto sonoro, con le note che si mescolano con le intercettazioni e il rumore della macchina da scrivere. Non tutto torna (o forse torna pure troppo), ma l’atmosfera è avvolgente… [e.a.]

13.23
Esordio nel lungometraggio per Andrea De Sica, discendente della nobile casata cinematografica, I figli della notte azzecca l’ambientazione opprimente e la claustrofobia dei rapporti umani per un racconto che non disdegna neanche gli strumenti del cinema di genere. Manca però una solida struttura narrativa, e la sceneggiatura, che pure vorrebbe giocare di ellissi, ha qualche buco. Esordio ambizioso e irrisolto, a conti fatti più esile di quanto presuppone. In concorso al TFF. [m.s.]

12.57
Suona molto di già visto l’unico film cinese presentato nel concorso internazionale, The Donor di Qiwu Zang. Stessi palazzi diroccati e pronti alla demolizione per essere sostituiti da abitazioni lussuose, stesso degrado familiare, stesso stile low-fi. Cose che si vedono nel cinema cinese d’autore da almeno vent’anni. Zang, che con questo suo film esordisce nel lungometraggio, non arricchisce neppure il discorso tralasciando di descrivere a dovere i suoi personaggi. Però, come dire, qualcosa di interessante la si trova sempre in operazioni simili, che hanno quantomeno il merito di porsi in aperto conflitto con il cinema commerciale mandarino. E nel caso di The Donor i meriti vanno trovati in alcune soluzioni di regia (il drone che spazia su paesaggi urbani) e in una dinamica thriller che prende forma soprattutto nella seconda parte. [a.a.]

10.15
Torniamo per un momento alla giornata di ieri per parlare di uno dei più brutti film visti finora in questa edizione del festival. O, almeno, dei più insignificanti. Si tratta di Live Cargo, opera prima di Logan Sandler presentata in Festa Mobile. Ambientando la sua storia nelle Bahamas, Sandler vorrebbe mettere in scena una sorta di limbo simil-lampedusano in una zona del mondo dove si vive di turismo ma si muore di immigrazione. Il fatto è che l’elemento ‘di denuncia’ arriva solo nell’ultima parte del film e, tra l’altro, in maniera molto appiccicata, mentre fino a quel momento ci si è trovati costretti ad assistere a un grossolano dramma di coppia, capace di far diventare ozioso quanto era potenzialmente forte (il dolore per la perdita della morte del loro bambino appena nato). Questo perché Sandler, con quel bianco e nero estetizzante, va di pseudo-poesia spinta, tutto preso a riprendere il cielo, il mare e il volto della protagonista Dree Hemingway (pronipote dello scrittore), invece di preoccuparsi di dare corpo al suo racconto. [a.a.]

 

Lunedì 21 novembre

23.40
Rischia di essere inghiottito più volte dalla retorica Free State of Jones, singolare biopic sulle imprese di Newton Knight, repubblicano e battista dai condivisibili principi e dalla testa parecchio dura, che prese a calci per qualche anno i confederati e le loro leggi schiaviste. Qualche passaggio a vuoto, una cornice anni Cinquanta troppo didascalica, ma anche il solido mestiere di Gary Ross (Pleasantville, Seabiscuit, Hunger Games) e un Matthew McConaughey misurato, accompagnato da un valido cast. Disastro al botteghino negli Stati Uniti, da dicembre nelle sale italiane. [e.a.]

16.35
Al cinema Reposi è iniziata alla 15 la proiezione di A Lullaby to the Sorrowful Mystery. Ovviamente occuperà la sala per tutto il pomeriggio e la sera. Una immersione nel cinema di Lav Diaz che potrete recuperare domani mattina alle 9.30, sempre al Reposi, e in due parti al Lux, mercoledì e giovedì (9.00). Restando in tema di recuperi, ultima chiamata alle 20.30 al Lux per The Wailing di Na Hong-jin, tra le migliori pellicole della stagione… [e.a.]

15.25
Oggi è invece stato presentato alla stampa anche Nessuno ci può giudicare, volo d’angelo documentario di Steve Della Casa sul fenomeno dei musicarelli, che tanto spazio ebbe nella cultura italiana del boom economico. Il documentario non approfondisce molto lo scenario, ma presenta un panorama ampio e a suo modo abbastanza esaustivo. Dopotutto “nessuno mi può giudicare, nemmeno tu…” [r.m.]

15.23
Wunderbar! Ebbene sì, ci eravamo dimenticati ieri sera di aggiornarvi su Yoga Hosers, nuova totale follia di quel mattacchione di Kevin Smith. Dopo Tusk, in cui un uomo veniva trasformato in tricheco, il regista di Clerks rimane in Canada per raccontare un’altra immersione nell’horror, stavolta puntando tutto sulla demenza: un gruppo di salsicciotti con la faccia di Hitler inizia ad aggredire persone in una cittadina. A combattere questo micro-esercito saranno due adolescenti, commesse nel drugstore del padre di una delle due. Divertimento assicurato per un film goliardico ma non beota, che potrebbe alimentare un piccolo culto. [r.m.]

15.16
Stamattina in concorso è stato presentato alla stampa Wir sind die flut, vale a dire We Are the Tide, opera seconda del regista tedesco Sebastian Hilger. Una confusa storia di bambini scomparsi, villaggi nella disperazione, fisica e cuore, scienza e umanità che francamente lascia troppi dettagli al caso, affidandosi a una scrittura ben poco approfondita. Fuori luogo qualsiasi confronto con il capolavoro di Atom Egoyan Il dolce domani, ovviamente, ma l’impressione è che non basti qualche suggestione visiva – la marea che se ne va – per dimostrare di possedere uno sguardo. [r.m.]

14.11
Sport movie sui generis dalla Finlandia. The Happiest Day in the Life of Olli Maki di Juho Kuosmanen rievoca la figura del pugile finnico Olli Maki che nel 1962 si giocò il titolo mondiale per i pesi piuma contro Davey Moore, fallendo miseramente nell’impresa (fu battuto in appena due round). Benché il bianco e nero evochi istantaneamente un’atmosfera alla Kaurismaki, in realtà il film di Kuosmanen ha poco in comune con l’opera del maestro finlandese. Il tono è quello della commedia malinconica, ma il passo narrativo è decisamente più immediato rispetto ai ritmi kaurismakiani. Fuggendo dal classico biopic, Kuosmanen confeziona un film simpatico e gradevole, volutamente minuto e di breve respiro. Già premiato nella sezione Un certain regard a Cannes, è stato designato a rappresentare la Finlandia nella prossima tornata di Oscar. Al TFF per Festa Mobile. [m.s.]

13.52
Il tipico humor british fa irruzione al festival con il film Absolutely Fabulous: The Movie, presentato in Festa Mobile. Si tratta di un lungometraggio che fa seguito all’omonima e longeva serie TV, andata in onda sulla BBC per vent’anni, dal ’92 al 2012. Trash e kitsch si accoppiano in questo miscuglio tra Sacha Baron Coen e Mr. Bean, declinati nel mondo ovattato e degradante dell’alta moda londinese. Le due protagoniste, Edina e Patsy, outsider invecchiate del circo fashion, cercano in ogni modo di tornare sulla cresta dell’onda, ma finiscono per creare una serie di disastri. Non è per tutti i palati, ha una storia davvero troppo esile, ma è innegabile che un po’ di risate Absolutely Fabulous: The Movie riesca a strapparle. [a.a.]

12.44
Robusto noir urbano con due splendidi protagonisti, Dana Andrews e Gene Tierney, Sui marciapiedi è un bel recupero tra le opere meno ricordate di Otto Preminger. Restaurato in digitale e distribuito in sala a partire dal 1° dicembre, il film fa parte di “Happy Returns!”, nobile iniziativa di Lab80 di uscita in sala di grandi classici del passato che nella scorsa stagione aveva già dato vita al ciclo “La diva fragile” con la proposta di 4 film interpretati da Gene Tierney. Il film di Preminger aderisce con decisione al noir classico adottandone anche una delle impalcature narrative più ricorrenti, la prigionia del Fato che qui assume anche tratti nobilmente zoliani di nevrosi ed ereditarietà. E fa piacere rivedere nelle vesti di protagonista Dana Andrews, attore ad oggi ingiustamente dimenticato. Al TFF per Festa Mobile/Festa Vintage. [m.s.]

11.56
Già autore di una filmografia pressoché totalmente shakespeariana, Kenneth Branagh porta adesso al cinema le riprese del suo ultimo allestimento teatrale di Romeo and Juliet. Come già avvenuto per altre iniziative simili della Nexo Digital, l’idea è quella di rinnovare l’interazione tra cinema e teatro e soprattutto di diversificare le finalità della sala. Operazione discutibile, che cerca di sfruttare il montaggio cinematografico e la fotografia in bianco e nero alla ricerca di un linguaggio inedito. Ma discutibile è anche l’idea a monte dell’allestimento teatrale, che come già altre volte accaduto a Branagh tenta di dare nuove letture al testo shakespeariano ambientandolo in epoche e costumi più diversi. Stavolta tocca all’Italia della Dolce Vita, rievocata come scenario acritico e vagamente midcult. [m.s.]

 

Domenica 20 novembre

23.28
A cinque anni da Il gioiellino, Andrea Molaioli torna a misurarsi con un lungometraggio per il cinema. Si tratta di Slam – Tutto per una ragazza (titolo discretamente brutto), presentato in Festa mobile e con cui il regista cambia radicalmente atmosfere e stile rispetto al suo precedente lavoro, pseudo-sorrentiniano e pseudo-di-denuncia. Qui siamo piuttosto sul terreno del teen-age movie, filtrato attraverso la penna scherzosa (e non sempre arguta) di Nick Hornby, di cui Molaioli adatta con un po’ di incoscienza il romanzo Slam. Le discrasie culturali sono in effetti troppo vistose – l’autobiografia di un eroe dello skateboard che viene letta in inglese dal protagonista e declamata in voice over – così come le simil-invenzioni narrative (il protagonista che si vede nel futuro) suonano poco organiche, tanto che alla fine quello che funziona meglio è il solito vecchio classico nostrano: la commediaccia coatta, qui incarnata in particolare da un Luca Marinelli spassoso, ma che già prefigura il rischio di restare incastrato nel ruolo del borgataro, allo stesso modo di come è successo nel recente passato a Elio Germano. [a.a.]

18.20
Biopic dedicato a Christine Chubbuck, reporter statunitense suicidatasi in diretta tv nel 1974, Christine di Antonio Campos, oggi in concorso al festival, affronta inizialmente con dovizia di particolari le dinamiche lavorative del team che compone la redazione di un notiziario Tv, per poi concentrarsi prevalentemente sulla sua protagonista, incarnata da un’eccellente Rebecca Hall. Anche se le problematiche psicologiche e la complessa personalità del personaggio non riescono mai a venire chiaramente alla luce, Christine rivela lo sguardo acuto e mai banale (un paio di sequenze sorprendono per struttura narrativa e capacità di una messinscena ben calibrata) di Campos, già autore dell’interessante Afterschool. Per saperne di più sul personaggio della Chubbuck, restiamo in attesa di assistere nei prossimi giorni alla proiezione di Kate Plays Christine, ibrido tra documentario e ricostruzione fictionale, dedicato alla giornalista e alla sua storia. [d.p.]

14.35
Sarcastico e disturbante The Arbalest di Adam Pinney è un’altra interessante declinazione dell’indie contemporaneo offertaci da questa edizione del Torino Film Festival. Protagonista di questa fantasmagoria vintage fatta di nerd e carta da parati optical è un sedicente inventore di giocattoli in stile cubo di Rubik con evidenti problemi di socializzazione, specie con le donne. La sua ossessione amorosa per l’intrigante Sylvia lo spingerà oltre o confini della legalità. Seppur gravato da dialoghi a tratti tediosi e contraddittori, il film di Pinney, presentato nella sezione After Hours, riesce sempre a recuperare l’attenzione dello spettatore, attraverso le sue surreali invenzioni e un certo tasso di autoironia che, per l’ennesima declinazione della poetica della nerditudine, non guasta affatto. [d.p.]

14.29
Sempre sulla Notte Horror, che è proseguita con un cult movie d’oltreoceano, The Return of the Living Dead, che Dan O’Bannon diresse nel 1985 con il placet di sua maestà George Romero in persona. Un gran pastiche tra il demente e il grottesco, che omaggia La notte dei morti viventi e gioca con l’immaginario punk (infatti qui a Torino è inserito nella retrospettiva dedicata proprio al punk); “More Brains!” è il grido di battaglia… Più cervelli sarebbero invece serviti per lavorare in maniera vagamente accettabile a un film risibile come Sadako VS Kayako, vera e propria caduta di stile della nottata. Diretto da Kōji Shiraishi, che pure in passato qualcosa di interessante nell’horror aveva combinato (con titoli come Noroi e The Slit-Mouthed Woman, visti una decina di anni fa tra Torino e il Far East di Udine), Sadako VS Kayako è un film sul quale è meglio calare un velo pietoso. [r.m.]

14.28
Torniamo per un momento a ieri. Al TFF la consueta Notte Horror si è aperta con la proiezione di Sam Was Here di Christophe Deroo. Come anticipato da Emanuela Martini presentando la serata, non si tratta in realtà di un horror propriamente detto, ma di un film che cerca di mantenersi al di sopra dei generi tutto fondato sulla gestione della suspense. La tensione è in effetti condotta con ottima mano nell’evocazione di un universo narrativo ominoso e impenetrabile. Meno compiuto di quanto ci aspetteremmo, il film ha però il pregio di non cercare le soluzioni più facili e di osare nei territori dell’indecidibilità. [m.s.]

14.26
Provocazioni antiborghesi, recinti fortemente allegorici con filo elettrificato, lotta di classe, repressioni ed esplosioni. Los Decentes di Lukas Valenta Rinner mostra una certa sapienza registica, nutrita di gusto per il surreale e atmosfere sospese. Tuttavia il testo è radicato su afrori abbastanza risaputi di provocazione culturale. In concorso al TFF. [m.s.]

14.10
La retrospettiva Cose che verranno, al secondo e ultimo anno, regala sempre qualche titolo misconosciuto. Messi alle spalle classici come La Jetée e Ikarie XB 1, o pellicole più recenti e celebri come A.I. – Intelligenza Artificiale, merita il giusto spazio Glen and Randa di Jim McBride, produzione indie datata 1971 che immagina un mondo post-nucleare alla deriva, regressivo, abitato da piccoli gruppi di sbandati, figli dei fiori allo stadio terminale. Glen and Randa è il progenitore della fiumana di film dal budget medio/basso che proprio negli scenari post-apocalittici cercano la loro ragion d’essere. Ancora lontano dai successi hollywoodiani, McBride si muove tra boschi, zone desertiche, discariche, tratteggiando un futuro morente, oramai privo di memoria e conoscenza. Perfetti i novelli Adamo & Eva Steve Curry e Shelley Plimpton. [e.a.]

02.31
Un novello Henry David Thoreau alle prese con la vita nei boschi è il protagonista di The Alchemist Cookbook di Joel Potrykus presentato ieri sera al Torino Film Festival nella sezione After Hours. Alchimista dilettante, sempre alle prese con misteriose pozioni ed evocazioni esoteriche, il protagonista del film sogna una vita da neo-pioniere, ma non può vivere senza le sue medicine, i nachos e un surrogato della coca-cola. Il suo sogno sarebbe vivere solo nel bosco col suo gatto Kas, ma a forza di scherzare con la magia nera si ritrova ad autoinfliggersi la scomoda compagnia del demonio. Orgogliosamente vintage e altrettanto fieramente a basso budget, The Alchemist Cookbook è una bizzarria gradevole e a tratti brillante, ma la sua idea non regge la durata del lungometraggio. [d.p.]

02.22
Una commedia indie prodotta da Jim Jarmusch che mescola Nouvelle Vague e John Cassavetes, il vedutismo urbano dei fratelli Lumiére con il Bertolucci di The Dreamers: stiamo parlando del delizioso ma anche piuttosto ozioso Porto di Gabe Klinger in concorso al Festival di Torino. Ultima interpretazione per il giovane Anton Yelchin, prematuramente scomparso pochi mesi fa, il film di Klinger è un classico boy meet girl, nostalgico e tenero, melanconico e verboso. Tra cambi di formato, flashback e flashworward, si fa strada un’interessante discorso, sull’archeologia dei sentimenti umani e la loro natura effimera e volatile. Ma i dialoghi tra i due protagonisti sembrano usciti dai Baci Perugina. [d.p.]

00.50
Un affresco composito della romanità più cialtrona, disillusa, ipercritica, insofferente al prossimo eppure generosamente filantropica. È con uno sguardo umanista e quasi entomologico che il regista e produttore musicale Mauro Ruvolo con Ab Urbe Coacta si mette letteralmente alle calcagna del suo protagonista Mauro Bonanni, sfasciacarrozze di Tor Pignattara. Presentato a Torino in Italiana.doc, il film, pur restando sempre al fianco del suo personaggio, intraprende percorsi fictionali che occhieggiano al cinema di genere e il cui innesto con la realtà verace di una romanità ambigua eppure umanissima, non sempre funziona. [d.p.]

 

Sabato 19 novembre

23.12
Dopo Nyai – A Woman From Java, un altro ottimo film arriva dalla sezione Onde. Si tratta del nuovo lavoro di Kiyoshi Kurosawa, Daguerrotype. Sia pur girato in Francia e con un cast di interpreti francofoni di altissimo livello (Tahar Rahim, Olivier Gourmet, Mathieu Amalric), Kurosawa mantiene intatta la tensione fantasmatica e visionaria del suo cinema, declinata in questo caso su atmosfere decadenti e noir tipicamente transalpine. Se da un lato si riflette sulla memoria del fotochimico (Gourmet interpreta un fotografo di moda ossessionato dall’idea di riprodurre dagherrotipi a grandezza naturale e con lunghissimo tempo di esposizione), dall’altro questo dà luogo a un intenso lavorio sulla perdita e l’assenza che raggiunge insanabili abissi di dolore. Teso, orrorifico, astratto e disperatamente tenero. [a.a.]

20.55
Garin Nugroho con Nyai – A Woman From Java torna alla commistione di linguaggi, ad ibridare diverse forme artistiche e performative realizzando un Kammerspiel musicale e teatrale dove si incrociano le tensioni sociali, culturali ed etniche del dominio coloniale olandese sull’Indonesia. [g.r.]

20.24
Giuseppe Verdi (1953) torna a parlarci del melodramma di Raffaello Matarazzo, che nel periodo di massima popolarità del suo cinema confezionò un biopic romanzatissimo sulle vicende pubbliche e private del Maestro parmense. Girato in uno squillante FerraniaColor, il film assomma varie tendenze commerciali dei suoi anni assolvendo a plurime funzioni sociali nell’Italia del tempo. Matarazzo rivela una volta di più un apparato espressivo estremamente sontuoso ed elegante, a fronte dei tanti luoghi comuni sul suo approccio popolare al fatto-cinema. Al TFF per Festa Mobile/Festa Vintage. [m.s.]

19.20
Mescola racconto di formazione e parabola morale Jesus, opera seconda del cileno Fernando Guzzoni, sviluppata in seno al Torino Film Lab e ora in competizione al festival sabaudo. Con una narrazione scissa in due parti, la prima dedicata alla quotidianità irrequieta di un adolescente che si ritrova, durante una notte brava, ad essere complice dell’omicidio di un coetaneo, e una seconda parte che vede il padre fare del suo meglio per trovare una “soluzione” al misfatto compiuto dal figlio, Jesus segue da un punto di vista narrativo percorsi già più volte attraversati dal cinema (pensiamo all’ottimo Il caso Kerenes di qualche anno fa) ma ha dalla sua l’innegabile talento per la messa in scena di Guzzoni, abile pedinatore dei suoi personaggi, setacciatore dei loro tormenti. [d.p.]

16.10
Traendo ispirazione dal romanzo di Nikolai Leskov (La Lady Macbeth del distretto di Mcensk) e spostando l’ambientazione dalla Russia alla brughiera inglese, il britannico William Oldroyd porta in concorso a Torino con Lady Macbeth il percorso di repressione e ribellione di una giovane donna. Riprendendo l’elegante compostezza delle Conversation pieces del pittore del ‘700 Joshua Reynolds, il film procede inizialmente con energia verso il percorso di autocoscienza della sua eroina, ma la sua rivolta, in principio dettata da motivazioni di genere e sociali, finisce poi per essere governata, più banalmente, da un bruciante amour fou, che le fa perdere ogni afflato proto-femminista. [d.p.]

11.24
L’insaziabile fame di eroi è tra le caratteristiche principali dell’animo americano. Lo sa bene Clint Eastwood che con Sully mette in scena la storia vera del pilota – qui incarnato da Tom Hanks – che in seguito all’avaria di entrambi i motori riuscì ad ammarare sull’Hudson, salvando passeggeri ed equipaggio. Ricostruzione storica abbastanza avvincente (peccato quelle telefonate alla moglie, tutte similari) del vero fatto di cronaca avvenuto il 15 gennaio del 2009, Sully decolla soprattutto quando approda alla fase processuale, dove Eastwood rispolvera, oltre al suo noto umanesimo, anche quello schietto humour capace di stemperare ogni retorica. [d.p.]

02.33
Veleggia fiaccamente su atmosfere indie Between Us, film di apertura della 34esima edizione del Torino Film Festival. Diretto da Rafael Palacio Illingworth, Between Us mette in scena i turbamenti sentimentali di una coppia pseudo-hiptster che crede di amarsi per sempre per poi scoprire che non era vero, forse, niente. Troppo posato stilisticamente per avvicinarsi anche solo un po’ a Cassavetes, troppo composto per risultare disturbante e/o spiazzante, troppo svagato per ergersi a dramma generazionale (di due giovani che non vogliono prendersi la responsabilità di diventare adulti), Between Us finisce dunque per non avere dunque un’identità precisa. Curioso e divertente il cameo di Peter Bogdanovich, anche se anche quello poteva essere sfruttato meglio. [a.a.]

 

Venerdì 18 novembre

23.59
Nulla e nessuno assomiglia a Sion Sono, tra i grandi eretici del cinema degli ultimi decenni. Antiporno, la sua visione del cosiddetto roman poruno sotto l’egida della Nikkatsu, è un nuovo viaggio imbastardito e ipnotico nella paranoia umana, nella disperazione, nella tragica ricerca del superamento del trauma. Colorato ma ansiogeno allo stesso tempo, Antiporno è un film che lavora in maniera sottocutanea, per poi esplodere in faccia allo spettatore, anche dopo qualche ora. [r.m.]

16.16
Eccoci dunque di nuovo qui, nella capitale della gianduia, per affrontare una nuova edizione (la trentaquattresima) del Torino Film Festival. La prima giornata, in attesa del film di apertura Between Us di Rafael Palacio Illingworth, che verrà presentato stasera al Lingotto, presenta alcuni titoli che abbiamo avuto modo di incontrare nel corso del tempo, tra novità e grandi classici: Ta’ang di Wang Bing, Elle di Paul Verhoeven, La Jetée di Chris Marker e Ikarie XB 1 di Jindřich Polák. Un vero e proprio fuoco d’artificio, al quale si somma Antiporno, la nuova creatura di Sion Sono, di cui vi sapremo dire più tardi… [r.m.]

Info
Il sito di Torino 2016.

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