Roma 2014 – Minuto per minuto
Annotazioni, pensieri, piccole e grandi polemiche: il resoconto della vita quotidiana nei fatidici giorni della nona edizione Festival del Film di Roma, dal 16 al 25 ottobre 2014.
Con la nona edizione del Festival del Film di Roma riparte, come d’abitudine, il nostro minuto per minuto, cronaca più o meno seria delle lunghe giornate all’Auditorium. I film, i primi pareri, le news, le eventuali polemiche, le code, i premi, eventuali rapimenti da parte degli alieni, miracoli e tutto quel che vedranno i nostri stanchi occhi.
Sabato 25 ottobre 2014
20.00
Ed eccoci all’atto conclusivo di Roma 2014, i premi…
Il pubblico ha votato per tutte le sezioni della Selezione Ufficiale: Cinema D’Oggi, Gala, Mondo Genere, Prospettive Italia.
Premio del Pubblico BNL | Gala: Trash di Stephen Daldry
Premio del Pubblico | Cinema d’Oggi: Shier gongmin / 12 Citizens di Xu Ang
Premio del Pubblico | Mondo Genere: Haider di Vishal Bhardwaj
Premio del Pubblico BNL | Cinema Italia (Fiction): Fino a qui tutto bene di Roan Johnson
Premio del Pubblico | Cinema Italia (Documentario): Looking for Kadija di Francesco G. Raganato
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Il Premio TAODUE Camera d’Oro alla migliore opera prima.
La giuria presieduta da Jonathan Nossiter e composta da Francesca Calvelli, Cristiana Capotondi, Valerio Mastandrea e Sydney Sibilia ha assegnato il premio a
Andrea Di Stefano, regista di Escobar: Paradise Lost (Gala)
Laura Hastings-Smith, produttore di X+Y di Morgan Matthews (Alice nella città)
Menzione speciale: Last Summer di Lorenzo Guerra Seràgnoli (Prospettive Italia)
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Infine, il Premio DOC/IT al Miglior documentario italiano.
La giuria presieduta da Federico Schiavi e composta da Valeria Adilardi, Mario Balsamo, Ilaria De Laurentiis e Paolo Petrucci ha assegnato il premio a
Largo Baracche di Gaetano Di Vaio (Prospettive Italia)
Menzione speciale: Roma Termini di Bartolomeo Pampaloni (Prospettive Italia).
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Alla prossima edizione. Forse. [e.a.]
18.59
Un po’ di premi collaterali del Festival di Roma 2014, annunciati e consegnati:
Premio Farfalla d’Oro Agiscuola: Gone Girl di David Fincher
The SIGNIS Award – Ente dello Spettacolo: ex aequo Fino a qui tutto bene di Roan Johnson e We Are Young. We Are Strong. di Burhan Qurbani. Menzione speciale per Biagio di Pasquale Scimeca.
Premio L.A.R.A. al Miglior Interprete Italiano: Marco Marzocca per Buoni a nulla di Gianni Di Gregorio. Menzione speciale a Silvia D’Amico per Fino a qui tutto bene di Roan Johnson
Premio A.I.C. per la Migliore Fotografia: Luis David Sansans per Escobar: Paradise Lost di Andrea Di Stefano.
Premio A.M.C. al Miglior Montaggio: Julia Karg per We Are Young. We Are Strong. di Burhan Qurbani.
Premio al Miglior Suono – A.I.T.S.: Last Summer di Leonardo Guerra Seràgnoli.
Premio La Chioma di Berenice – al Miglior Truccatore: Simona Castaldi per Soap Opera di Alessandro Genovesi.
Premio La Chioma di Berenice – al Miglior Acconciatore: Fabio Lucchetti per Soap Opera di Alessandro Genovesi.
Premio Akai International Film Fest: Fino a qui tutto bene di Roan Johnson.
Green Movie Award: Biagio di Pasquale Scimeca.
Premio di critica sociale “Sorriso diverso Roma 2014” film italiano: Biagio di Pasquale Scimeca.
Premio di critica sociale “Sorriso diverso Roma 2014” film straniero: We Are Young. We Are Strong. di Burhan Qurbani.
Insomma, pioggia di premi per il cinema italiano… [e.a.]
17:30
Ultimo film della retrospettiva sul gotico italiano, il dimenticato La lunga notte di Veronique dell’ancor più dimenticato regista Gianni Vernuccio. Un horror di atmosfera, psicologico, tutto giocato su una sensazione sottile sinistra e inquietante. Un gotico solare ambientato in ville nobiliari della campagna lombarda. Tornano tanti archetipi del genere, il passato che ritorna, personaggi misteriosi e fantasmatici come la ragazza attorno alla quale il film sviluppa una carica morbosa legata ai turbamenti erotici del giovane protagonista. Di più il regista, che fu uno degli operatori a riprendere i cadaveri di Mussolini e dei gerarchi fascisti esposti a Piazzale Loreto, aggiunge ricordi della guerra da cui è stato segnato, un po’ come, nel cinema di genere, ha fatto Giulio Questi. Da ricordare per la canzone del grande Giorgio Gaslini, mentre l’alfetta ci richiama ai tempi de Il sorpasso. Un film che andrebbe restaurato. [g.r.]
17.02
“Quella del Festival di Roma è un’esperienza che non posso che ritenere conclusa, visto che era un mandato triennale”. Nel corso della conferenza stampa di chiusura della nona edizione del festival di Roma, Marco Müller ha annunciato ufficialmente quanto era già ampiamente prevedibile: la fine della sua esperienza romana. A questo punto, al di là dei premi di stasera, ciò che interessa davvero è capire chi si prenderà in carico la direzione di questa manifestazione che l’anno prossimo compirà il suo decennale e che è ancora ben lungi dall’acquisire una identità definita. [a.a.]
14.02
In mattinata cala il sipario sulla sezione autonoma Alice nella Città, giunta quest’anno alla sua 11esima edizione, con l’assegnazione dei premi di categoria. Un’edizione che ha registrato un significativo successo in termini di pubblico, anche grazie a una selezione di titoli di qualità che ha visto molti alti e pochi bassi. A spuntarla al fotofinish tra le dodici pellicole in concorso è stata The Road Within di Gren Wells, romanzo di formazione on the road che affronta con ironia e delicatezza e il difficile tema della malattia. Con la seguente motivazioni la giuria composta da 21 ragazzi tra i 14 e i 18 anni ha assegnato al film della cineasta americana il riconoscimento: “Un lungo viaggio dentro se stessi, una storia di accettazione, di cambiamento e di amore per la vita che, attraverso l’ironia e l’interpretazione dei tre protagonisti, riesce a toccare il cuore dello spettatore”. Quando si dice gli ultimi saranno i primi, visto che il film della Gren è entrato all’ultimo momento utile nella rosa dei selezionati e inizialmente annunciato come film a sorpresa. Come prevedibile un secondo riconoscimento è andato a Trash del regista inglese Stephen Daldry, che si è aggiudicato il Premio speciale della Giuria con la seguente motivazione: “Trash, una denuncia sociale e politica che prende vita grazie all’innocente ricerca di giustizia di tre bambini strappati a un’esistenza ‘sporca’ tra le favelas di Rio. Una pellicola che esce fuori dallo schermo e attira l’attenzione del pubblico grazie a una spontanea interpretazione, una perfetta fotografia e una coinvolgente colonna sonora”. L’adattamento cinematografica dell’omonimo romanzo scritto nel 2010 da Andy Mulligan sarà nelle sale nostrane a partire dal 27 novembre con Universal. [f.d.g.]
11:40
Colpo di genio nella programmazione di ieri, che ci ha permesso di aprire e poi chiudere la giornata di visioni festivaliere con due pellicole accomunate dalle medesime tematiche, legate allo sguardo e alla sua ineludibile colpevolezza. Parliamo di Nightcrawler, esordio alla regia di Dan Gilroy, presentato di primo mattino nella sezione “Mondo Genere” e di L’occhio selvaggio di Paolo Cavara (1967) restaurato dalla Cineteca Nazionale e proiettato in serata all’interno della retrospettiva “Danze macabre: Il cinema gotico italiano”. Si tratta di due film che scorrono paralleli nella loro analisi delle possibili dinamiche intrecciate e diaboliche tra cinema e vita, finzione e realtà, filmare e mentire, e all’occorrenza uccidere. Mentre entrambi i registi mettono in scena e dunque in discussione il loro ruolo, anche noi spettatori siamo finiti sotto accusa: imperdonabili e impenitenti voyeur, non ci basterà mettere in connessione un paio di film per ottenere il perdono. [d.p.]
11.38
Visto di prima mattina Andiamo a quel paese di Ficarra e Picone, film di chiusura della nona edizione del Festival di Roma. Il duo di comici siciliani – già intervenuti con auto-ironia nel ‘salvataggio’ di Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco – conferma la paurosa involuzione del loro cinema, avviata nel 2011 con Anche se è amore non si vede. Questo nuovo film infatti è completamente privo di struttura narrativa, cosa che invece rappresentava la forza di Il 7 e l’8 e di La matassa, e avanza claudicante con sketch dal fiato corto e lunghi batti e ribatti tra i due attori-registi per una storia che, forse, potenzialmente poteva avere una qualche ragion d’essere: l’idea secondo cui per mantenersi al giorno d’oggi bisogna per forza approfittare delle persone anziane. Ma il tutto si sfilaccia in una pigra confusione e nell’assoluta mancanza di trovate divertenti. [a.a.]
11.10
Bellissimo restauro, quello presentato ieri sera al Festival di Roma, del raro L’occhio selvaggio di Paolo Cavara (1967), regista che si sarebbe fatto notare per i suoi thriller … e tanta paura (1976) e La tarantola dal ventre nero (1971). Cavara esordì al cinema lavorando nei mondo movie, tra cui anche nel capostipite Mondo cane. Il genere di film efferati e truculenti che tanto successo e scalpore fecero negli anni sessanta/settanta ha partorito anche, per contrasto, due film di rilievo. Uno è Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato, l’altro è proprio L’occhio selvaggio. Se la genuinità della denuncia di Deodato può suscitare perplessità, non c’è dubbio invece su quella di Cavara. Il suo è un atto di accusa per estensione anche a un certo tipo di giornalismo sensazionalistico, e una rivelazione, o meglio una conferma, di come quei reportage siano delle messe in scene, dei fake, per non dire del sado-masochismo del pubblico. Ma Cavara, forse involontariamente, va oltre, rivendicando, al di là di ogni morale, la superiorità del cinema come bugia. E nel mostrare l’esigenza, la necessità di riprendere, anche necrofila e ‘auto-necrofila’, il suo personaggio si avvicina al regista, nel suo momento finale, di Lo stato delle cose. [g.r.]
Venerdì 24 ottobre 2014
22.10
Anche tu come Kevin Costner… anche tu balla coi lupi, so’ finiti i tempi cupi… L’atteso incontro con il divo è cominciato in ritardo causa lo sciopero dei mezzi pubblici (???). Così almeno la giustificazione ufficiale anche se è difficile immaginarsi Costner alla fermata del tram. Rievocata la carriera dell’attore, la sua filmografia western, il suo volto prestato all’America democratica kennedyana (con JFK e Un mondo perfetto), alle cause civili, e la sua caratura da Hollywood classica, che non avrebbe sfigurato con Frank Capra o John Ford, o a fianco di Henry Fonda o Clark Gable. Da parte sua Costner ha raccontato della sua esperienza di padre e ha deprecato il nuovo cinema da blockbuster, surrogato di realtà, film che sembrano cartoni animati.
Presentato il film di cui è protagonista e produttore, Black and White, storia di un processo di affidamento che lo vede nel ruolo di nonno, contendere la bambina con il padre naturale. Film che vorrebbe impostare problemi sul razzismo ma che alla fine risolve tutto a tarallucci e vino. Poca cosa rispetto alla filmografia di Costner. Che vuole giocare a citare il suo grande monologo, l’arringa del procuratore Garrison in JFK, con la frase, che dice deponendo al processo di affidamento “Non ho pregiudizi razziali, voglio solo che il tuo culo nero stia lontano da mia figlia”. Non tutte le arringhe escono col buco… [g.r.]
17.30
Presentato il film indiano Haider, che riesce a far virare il cinema spettacolare di Bollywood nel film di impegno civile e di denuncia, raccontando una storia che ha come sfondo i duri conflitti per il Kashmir. E il tutto usando come canovaccio la tragedia di Amleto. L’operazione tiene fino in fondo anche se i riferimenti al testo shakesperiano appaiono a volte un po’ forzati. E il film riesce a essere al contempo scomodo, pronunciando un duro atto d’accusa contro il sistema repressivo indiano, che non ha lesinato a fare ricorso alla tortura. [g.r.]
17.20
Presentazione mattutina per Biagio di Pasquale Scimeca, che racconta la vicenda di Biagio Conte, il missionario laico fondatore nel 1993 della Missione di Speranza e Carità: il film – che fa parte della selezione Cinema d’Oggi – segue il viaggio del missionario siciliano alla scoperta del suo rapporto con la fede e con l’armonia della natura, dall’abbandono dei beni materiali a Palermo passando per l’eremitaggio sui monti, fino al lungo pellegrinaggio che lo porterà ad Assisi e in seguito alla sua opera di carità. Un progetto impegnativo, che vorrebbe fare leva sulla spiritualità del suo protagonista e trasformarla in una fonte di ispirazione ma che incappa in una serie di falle che ne pregiudicano il risultato finale: la stampa presente in sala Petrassi lo ha accolto con una certa freddezza. [p.c.]
14:30
La mattinata del nono giorno si conclude con la proiezione per il pubblico del dodicesimo e ultimo titolo in concorso ad Alice nella Città. Annunciato come film a sorpresa della sezione, arriva sugli schermi della kermesse capitolina in anteprima internazionale The Road Within della statunitense Gren Wells. Storia di amicizia, amore, integrazione e perdono, la pellicola vive di sussulti nello script e grazie a una prova corale del cast molto efficace. Al contrario, la regia è scolastica, vale a dire niente che non farebbe chiunque del mestiere. In tal senso, sorprende il fatto che per questo film, la Wells sia stata scelta da Variety tra i 10 registi da seguire nel 2014. [f.d.g.]
13.20
Opera prima di Dan Gilroy, già sceneggiatore di The Bourne Legacy e The Fall, Nightcrawler mette in mostra una regia e una scrittura solida, riallacciandosi idealmente a quel cinema statunitense degli anni Settanta d’impegno politico e civile, sempre attento al ruolo dei media, ma innestando sotto pelle il virus cancerogeno della contemporaneità, della dissolvenza dell’etica, del predominio dei disvalori. Una sorta di punto d’incontro tra Tutti gli uomini del presidente e Da morire, in un intreccio abbastanza appassionante di realismo e sfrenato cinismo. Ottimo Jake Gyllenhaal. [e.a.]
Giovedì 23 ottobre 2014
14.32
Visto I Maia – Scene di vita romantica (Os Maias – Episódios da Vida Romântica), relazioni pericolose nel Portogallo di fine Ottocento. Un’opera di João Botelho, un film che funziona come un arazzo, come una galleria di immagini, un’avventura della luce dove, nella licenziosa storia di un libertino che degenera in incesto, si rivive il conflitto tra naturalismo e impressionismo, che avrebbe lasciato un solco nella storia delle arti figurative. Un film di grande complessità visiva, dove Claude Monet si incontra con Jacques Demy. [g.r.]
14.05
Non solo visioni al Festival di Roma. Tra i mille rivoli delle iniziative che gravitano attorno all’Auditorium, vale la pena segnalare la presentazione del volume Il conflitto delle idee. Al cinema con MicroMega (Bietti Heterotopia) di Giona A. Nazzaro, con prefazione di Marco Müller – entrambi presenti, accompagnati da uno dei curatori della collana, Claudio Bartolini. Cinema e critica oggi, come districarsi in questa giungla, come provare a ripartire… [e.a.]
11.42
In merito alle nostre lamentele di ieri sulle proiezioni fuori fuoco delle pellicole del gotico italiano, segnaliamo per correttezza la precisazione del Print Office del festival, in cui si specifica che tale problema non è attribuibile a imperizia dei proiezionisti, bensì alla qualità delle pellicole, così come pervenute al festival. Si tratta di pellicole ‘grasse’, vale a dire che in proiezione possono produrre residui di emulsione che si accumula nel pattino del proiettore, alterando la corsa della pellicola e impedendo la messa a fuoco. Per noi cinefili questa è la dimostrazione come una rassegna a 35mm sia comunque tutto grasso che cola, una riserva indiana ormai da tutelare. Ciò dimostra ancora di più la sempre maggior difficoltà non solo di usare, ma anche di conservare, la pellicola. [g.r.]
11.35
Presentato alla stampa il secondo dei tre film italiani della della sezione Cinema d’Oggi, ossia La foresta di ghiaccio di Claudio Noce. Timidi applausi nella Sala Petrassi accompagnano i titoli di coda dell’opera seconda del regista romano, un thriller ad alta quota tanto stratificato nell’intreccio da non riuscire a sbrogliare la matassa mystery che la sorregge. Accumula tensione ma ne perde il controllo. Nota positiva la prova davanti la macchina da presa di Emir Kusturica. [f.d.g]
11.10
Ultimo film del mercoledì è stato Phoenix del regista tedesco Christian Petzold. Una sorta di Vertigo ambientato nella Berlino post-nazista, dove il rapporto fra inganno e illusione si carica del peso della Shoah. Più che a Hitchcock, Petzold guarda alla tradizione del noir e del jazz, dai quali trattiene l’esecuzione impeccabile ma raggela la componente melodrammatica. Quasi doveroso quando si parla di memoria storica, anche se la “fenice” (dal nome del locale dove i due protagonisti si rincontrano dopo la caduta del nazismo) risorge davvero in quei momenti in cui il film svela le proprie passioni più che rimarcare gli intenti psicologizzanti. [e.b.]
Mercoledì 22 ottobre 2014
21.42
A due buoni film come Meno male è lunedì e Roma Termini fa invece da contraltare un terzo prodotto italiano dall’esito piuttosto mediocre. Si tratta di Tre tocchi, film di Marco Risi presente nella sezione Gala. Il regista di Fortapàsc vorrebbe seguire la scia ideale di film come Fame o Chorus Line, raccontando le vicende di un gruppo di attori emergenti (e non) con i loro romantici sogni di gloria. Veniamo invece catapultati in una brutta fiction, in cui quello che si vorrebbe far passare per realismo diventa invece un quadro grottesco e ridicolo, e tutte le situazioni sembrano inautentiche. Tra attori che recitano Amleto negli spogliatoi dopo il calcetto, che reagiscono alle frustrazioni lavorative stuprando (sic!), che combattono con la propria omosessualità latente, che combattono contro la camorra, che si fanno mantenere da patetiche anziane ex attrici, manca soltanto una cosa fondamentale: attori che sappiano davvero recitare. L’impressione è che non sia tutta colpa di Risi,ma il regista ci mette del suo girando in modo fintamente adrenalinico, andando a ritmo con l’agitazione eccessiva dei suoi personaggi. [v.c.]
21.21
Buona accoglienza per Meno male è lunedì, solo lievemente inferiore a quella di ieri per Roma Termini, entrambi i film presentati in Prospettive Italia. Si tratta di due documentari sugli esclusi: il primo girato con mano esperta da Filippo Vendemmiati (da ricordare È stato morto un ragazzo, sulla vicenda di Federico Aldovrandi); l’altro filmato in modo super low budget dal giovane Bartolomeo Pampaloni, che ci piace accomunare poiché, pur essendo piuttosto diversi per lo stile adottato, arrivano entrambi generosamente al cuore dello spettatore. Meno male è lunedì si affida più allo spazio intorno ai personaggi, l’officina all’interno del carcere di Bologna, per cogliere indirettamente le storie dei detenuti: l’umanità dei protagonisti viene a galla, ma quando il film si rivolge altrove lasciandosi andare a contemplazioni sonore perde un po’ di forza. Paradossalmente Roma Termini fa un percorso inverso: la videocamera è incollata ai volti dei protagonisti e ci fa quasi dimenticare il luogo fisico in cui si collocano, trascinandoci in una desolata e sofferta intimità. Qualcosa non convince appieno anche in questo film, forse la contestualizzazione urbana è un po’ povera e come tale non riesce ad amplificare il significato del racconto. [v.c.]
17.10
La base di partenza di Stonehearst Asylum è un racconto di Edgar Allan Poe, Il sistema del dr. Catrame e del prof. Piuma, poi c’è un cast di tutto rispetto: Ben Kingsley, Michael Caine, Brendan Gleeson, Kate Beckinsale, Jim Sturgess e David Thewlis. Insomma, ottime premesse. A mancare sono le consuete atmosfere inquietanti, distorte, del cinema di Brad Anderson (Session 9, L’uomo senza sonno, Transsiberian), quello straniante pulsare sotto pelle. Ne viene fuori un film diligente, pure troppo, legato mani e piedi alla narrazione e poco alle potenzialità visive. [e.a.]
13.02
Il colpo al cuore del Festival di Roma arriva da Angels of Revolution di Aleksej Fedorchenko. Un racconto inventivo, ironico, crudele, spiazzante sul passaggio dal sogno leninista dell’avanguardia artistica come emancipazione del popolo all’incubo stalinista e alla russificazione dell’Unione Sovietica. Conferma di un talento cristallino, Angels of Revolution entra di diritto tra i film imperdibili del 2014. [r.m.]
12.20
Ottimo in Prospettive Italia il secondo film di Roan Johnson, Fino a qui tutto bene, racconto generazionale sul nulla che accomuna cinque ragazzi coinquilini in un appartamento a Pisa e pronti a lasciare per sempre le illusioni giovanili. Distante anni luce dalle semplificazioni retoriche mucciniane, Johnson costruisce una commedia divertentissima e amara, sanamente volgare e filosofica con un occhio al cinema di Cassavetes. Finalmente un film italiano capace di portare a fondo i discorsi senza timidezze e senza auto-censure. [a.a]
Martedì 21 ottobre 2014
21.25
Gli eroici loser di Guardians of the Galaxy sono sbarcati al Festival di Roma, sezione Alice nella città, all’ultimo secondo utile, giusto un attimo prima dell’uscita nelle sale italiane. Insomma, più un riempitivo di lusso che un’anteprima festivaliera: ma questo conta davvero poco, anzi nulla, nell’economia di una pellicola che gioca continuamente con lo spettatore, solleticando lo spirito nerd che alberga in buona parte del pubblico. Guardiani della Galassia, affidato alla regia non banale di James Gunn (Super, Slither), è un blockbuster congegnato dannatamente bene, dalla colonna sonora alla scelta del cast, dalle spassose citazioni ad alcuni passaggi persino commoventi. Cinecomic all’ennesima potenza. [e.a.]
20.11
Scrivano, arrotino, tagliatore di ghiaccio, conducente di calesse, lavandaia, mondina, uomo del latte, centralinista, proiezionista in 35mm. Tra i mestieri di una volta ormai figura anche quell’omino che in una cabina infilava la pellicola nel proiettore. La consapevolezza di quanto sia una professione dimenticata viene dalla seconda visione consecutiva fuori fuoco nella rassegna sul gotico italiano che, causa cambio di programma è stata del raro Il castello dei morti vivi del 1964 di Luciano Ricci e Lorenzo Sabatini, in luogo de Il mulino delle donne di pietra. Dopo La cripta e l’incubo torniamo a vedere Cristopher Lee peraltro nello stesso lugubre maniero in cui è stato girato anche il film di Mastrocinque, che poi è il castello Orsini-Odescalchi di Bracciano. Onore agli Odescalchi, tuttora proprietari dell’edificio, che facevano funzione di film commission quando ancora questa parola non esisteva. [g.r.]
17.23
Oggi la rassegna sul gotico italiano ha proposto un altro classico, imprescindibile, del genere: La cripta e l’incubo, una delle due incursioni in quel genere di Camillo Mastrocinque, il regista specializzato in commedie che si ricorda per il suo sodalizio artistico con Totò. Ispirato a uno dei tre capisaldi della letteratura gotica sui vampiri, Carmilla, il film sfoggia un elegante bianco e nero e snocciola tutta una serie di stereotipi: incubi dal passato, manieri in cima a una rupe con i classici corridoi con file di armature, gobbi come quello di Notre-Dame, ombre e specchi, vento impetuoso che apre le finestre, nonché la presenza maestosa di Cristopher Lee. E coerentemente con il romanzo di Le Fanu, il tema lesbico è molto forte. Ma sarà un caso che la giornalista lesbica di Tenebre di Dario Argento si chiama Tilde come una delle protagoniste de La cripta e l’incubo? Impeccabile copia in 35mm ma, nota molto dolente, la proiezione è andata fuori fuoco per buona parte del film. Un cattivo segnale che dà ragione a chi lamenta la perdita di professionalità dei proiezionisti conseguente all’avvento del digitale. [g.r.]
15.33
Questa mattina è stato presentato alla stampa Tusk, nuovo horror di Kevin Smith dopo il largamente sottovalutato Red State. Un podcaster scurrile e senza scrupoli viene adescato e fatto prigioniero da un reduce dello sbarco in Normandia, che vive nell’ossessione di trasformare gli esseri umani in trichechi. Un’opera divertente, crudele, sapida e non priva di ambizioni, ennesima visione confortante di Mondo Genere, finora la sezione più convincente del festival. [r.m.]
14.20
Accoglienza piuttosto tiepida per Dolares de Arena di Israel Cárdenas e Laura Amelia Guzmán, presentato oggi alla stampa nell’ambito della sezione Cinema d’Oggi, che racconta la relazione di convenienza fra una giovane domenicana e un’anziana francese che ha scelto di vivere gli ultimi anni della sua vita nell’isola caraibica. Malgrado il minutaggio contenuto il film mostra ben presto evidenti limiti di contenuto e di scrittura, impantanandosi in ripetitività e dilatazioni narrative che finiscono solo per appesantire lo sviluppo della storia. [p.c.]
12.53
Accoglienza non proprio trionfale per Obra, in Sala Sinopoli, film presente in Cinema d’Oggi. San Paolo del Brasile è certamente raffigurata in un bianco e nero affascinante, con gli inquietanti palazzoni di cemento grigio a circondare i protagonisti, ma presto l’incanto scompare e l’operazione diventa un po’ troppo compiaciuta e (an)estetizzante, non avendo una vera narrazione dietro. Le inquadrature sono perennemente innamorate del suo protagonista, che però non ricambia affatto, e col suo distacco emotivo allontana anche lo spettatore dal film. [v.c.]
12.41
Applausi sinceri ieri per Looking for Kadija – selezionato in Prospettive Italia -, singolare lavoro di Francesco G. Raganato e della coraggiosa Todos Contentos y yo tambien, giovane casa di produzione. Un viaggio alla ricerca di un set e di un ispirazione per un film in Eritrea, diventa il film stesso, con volti e luoghi esotici, costruzioni coloniali che diventano i reali protagonisti. Un esperimento gradevole, volutamente irrisolto, che ricorda il cinema di Makhmalbaf, ma con un montaggio forse un po’ troppo “pulito”, traviato da uno sguardo addolcito di fronte alla bellezza del paese africano. [v.c.]
09.49
Non si possono non spendere anche alcune riflessioni sulla strana coppia Walter Salles/Jia Zhangke. Il primo ha realizzato un documentario sul cinema e la figura umana del secondo e lo ha presentato ieri qui al festival – seppur in versione non completamente definitiva. Jia Zhangke, un gars de Fenyang è un film che mette in scena una storia di amicizia e di intimità, quella tra i due registi, ma è anche un film che ripercorre con precisione e con alcune illuminanti sottolineature la carriera di Jia, dall’esordio con Xiao Wu fino al progetto, su cui sta lavorando in questi mesi, di un seguito di The Platform. Bella anche la premiazione che ha preceduto il film, visto che a Salles è stato assegnato il Marc’Aurelio alla carriera. Il regista brasiliano ne ha approfittato allora per tributare una serie di sconfinati atti d’amore: nei confronti di Jia, ovviamente, ma anche verso il cinema italiano, soprattutto Antonioni, e – last but not least – verso Marco Müller, augurandogli lunga vita alla direzione del festival. Che siano giunti anche alle orecchie di Salles gli echi delle polemiche che quotidianamente si respirano da queste parti? [a.a.]
09.22
Di prima mattina il pensiero torna ancora a ieri, al magnifico recupero di 5 bambole per la luna d’agosto di Mario Bava, film del ’70 inserito all’interno della retrospettiva sul gotico italiano. In tempi in cui i festival internazionali hanno abbandonato serenamente la missione di promuovere una politica culturale, che si faceva anche e soprattutto attraverso le retrospettive, per fortuna Roma – al contrario – fortifica questa vocazione. E, a differenza dello scorso anno in cui molte copie dell’omaggio a Claudio Gora erano addirittura in Beta, quest’anno si sono potuti ammirare non pochi 35mm. Era in pellicola anche 5 bambole per la luna d’agosto: è stato possibile perciò ammirare in pieno il discorso che Bava ha costruito in questo suo film, a metà tra il pop e l’astrazione figurativa, oltre che narrativa. Uno dei capolavori del regista, ingiustamente sottovalutato. Che poi la retrospettiva si stia ritagliando un suo spazio lo dimostra anche il fatto che il pubblico e gli accreditati, dopo la sala semi-vuota il primo giorno per Operazione paura, abbiano cominciato a frequentare queste proiezioni con sempre maggior assiduità. [a.a.]
Lunedì 20 ottobre 2014
23.02
Per Mondo Genere, la serata trova le umide terre del nord della Francia e la storia vera di Alain Lamare, assassino seriale e gendarme modello nella Francia di fine anni Settanta. Fra il “vero” e il “genere”, il film di Cédric Anger opta decisamente per il primo. La prochaine fois je viserai le coeur non è tanto un noir livido o un thriller asciutto, quanto una ricostruzione (dichiaratamente accurata fin dai titoli di testa) di una mente malata ai limiti della schizofrenia. Ambigua dunque la collocazione nella sezione dei film dalla vocazione più distante dal realismo. A parte un po’ di amaro in bocca per la segreta speranza di vedere un gustosissimo polar invece della drammatizzazione di ritagli di cronaca nera, il film colpisce soprattutto per l’interpretazione di Guillaume Canet. Che merita tutti gli applausi che la sala lancia nel finale. [e.b.]
22.40
Serata amarcord al Festival di Roma, dove hanno sfilato sul red carpet gli Spandau Ballet, ovvero Tony Hadley, Gary e Martin Kemp, Steve Norman e John Keeble, tutti al Festival per presentare Soul Boys of the Western World di George Hencken, documentario a loro dedicato. Completamente narrato dai cinque membri della band, il film segue cronologicamente le loro storie, dall’infanzia al primo incontro, dalla nascita degli Spandau Ballet al successo, fino allo scioglimento (avvenuto nel 1990) e alla reunion (2009). Coadiuvato da un’ottima selezione di materiali di repertorio, il documentario della Hencken analizza la band e il suo contesto, affrontando – sempre attraverso le voci dei suoi protagonisti – un fenomeno pop generazionale e di costume, che ebbe come culla d’elezione lo stravagante club londinese Blitz e tra le sue influenze, come indica il titolo, la musica soul. Certo, non possiede particolari guizzi autoriali, ma Soul Boys of the Western World è comunque un ottimo prodotto, pensato per intrattenere ed entusiasmare il grande pubblico, e non solo quello composto dai fan. Peccato che verso il finale si percepisca netto il sentore che si tratti di un grande e altisonante spot promozionale per la reunion della band e per una serie di date di concerti che non a caso sono state inserite in una schermata prima dei titoli di testa. Ma pazienza, resta un bel ritratto di un’epoca e della sua tracotanza giovanile, ma anche naturalmente della sua musica, e quella non invecchia mai. [d.p.]
18.00
Accoglienza calorosa in Sala Sinopoli per la presentazione al pubblico della quinta pellicola in concorso di Alice nella Città, About a Girl di Mark Monheim. Il regista tedesco regala a una risicata platea presente una black comedy dalle venature drammatiche che tratta con coraggio e spregiudicatezza il difficile tema del suicidio adolescenziale. Per farlo sceglie lo humour politicamente scorretto e la goliardia, ma senza cadere mai nel cattivo gusto. Dialoghi folgoranti alla Juno, personaggi ben disegnati, un gruppo di bravissimi interpreti, una colonna sonora assortita e una regia ricca di soluzioni, supportano una sceneggiatura che diverte e fa riflettere. Da recuperare! [f.d.g.]
17.17
Al Maxxi appare sullo schermo qualche scheggia impazzita, residuo di ciò che fino allo scorso anno avrebbe infiammato la sezione CinemaXXI, vero arto mancante di questa edizione. In Jà Visto Jamais Visto Andrea Tonacci scopre nuove angolazioni possibili della riflessione sull’immagine in movimento partendo da filmini di famiglia e da montaggi mai completati. Film perduti che si ricompongono nella memoria dell’uomo e in quella del cinema, per una delle visioni più appaganti di questi primi giorni di festival. Affascinante, ma meno compiuto nella sua totalità, è invece l’omaggio pasoliniano dell’argentino Raul Perrone, che con Ragazzi conferma il potere immaginifico del suo cinema ma non riesce a scardinare fino in fondo lo scrigno della narrazione, disperdendo nella seconda metà dell’opera parte delle intuizioni di partenza. Ma sono difetti che viene davvero naturale perdonare, di fronte a un’idea di cinema così fuori da qualsivoglia regola, persino dalle proprie… [r.m.]
14.55
Di gran livello la masterclass con l’attore britannico Clive Owen, forse l’unica di questo nono festival di Roma ad essere stata preparata a dovere e con in mente la chiara volontà di far scattare un autentico approfondimento e una vera e propria lezione di cinema (delle altre, purtroppo, non si può dire la stessa cosa e l’obiettivo promozionale-pubblicitario era sempre dietro l’angolo quando non chiaramente esplicitato…). L’interprete di Closer si è infatti lanciato, con generosità loquace e la solita classe da vendere, nella rievocazione tanto degli esordi teatrali, a partire dalla natale Coventry per approdare poi alla Royal Academy e allo studio di Shakespeare, quanto dei successi più noti di una carriera sempre in bilico tra autorialità e cinema di genere. Clive Owen dà lustro a ciò che conosce e sa fare meglio, ovvero una recitazione fatta in gran parte di non detti e di una tensione sempre repressa dello sguardo e dei movimenti, riversata sull’attore con cui si condivide la scena e mai interiorizzata in modo fine a se stesso. Una caratteristica, va da sé, che fa di lui un attore prezioso, oltre che spesso a torto sottovalutato (basta vederlo nella monumentale interpretazione del dottor John Thackery di The Knick per aver fugato ogni dubbio). In quasi un’ora di chiacchierata, si è spaziato dal modo istintivo con cui Clive legge i copioni a quello col quale poi sceglie i progetti, passando per l’unicità sinfonica delle regie di Altman, che lo diresse in Gosford Park, e per qualche insospettabile passione calcistica (“Tifo Liverpool, ma ho una certa simpatia per l’Inter: è vero, ammetto che due-tre partite dell’Inter all’anno le vado a vedere…”). Ma se Owen è così affascinante, capace di unire durezza e ironia (in generale ma anche con le partner femminili sullo schermo) e soprattutto britannico, perché non ha ancora interpretato Bond in un film della saga su 007? Misteri… [d.e.s.]
14.35
Presentato nella sezione Cinema d’Oggi, The Lies of the Victors è un thriller politico e complottista con un discreto spunto iniziale, ma che a lungo andare si perde nei meandri della retorica e della superficialità. Colpa soprattutto di una regia un po’ scialba, avara di trovate, e di personaggi non convincenti. Permane comunque l’interesse per gli argomenti che vengono trattati, certamente non di facile rappresentazione. [v.c.]
12.20
Teso come una corda di violino, sorretto da una tensione latente destinata a implodere sullo schermo, Gone Girl dà una scossa alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dove l’ultima fatica dietro la macchina da presa di David Fincher approda nella sezione Gala dopo aver aperto lo scorso settembre la 52esima edizione del New York film Festival. L’adattamento cinematografico del romanzo L’amore bugiardo, scritto nel 2012 da Gillian Flynn, è un thriller psicologico a incastro hitchcockiano con continui capovolgimenti di fronte, che ha nel ritmo serrato dei dialoghi e del racconto, nella regia solida, nella composizione tecnica di ottima fattura e nella perfetta performance del cast, le armi per conquistare le platee. Presentato alla stampa nella mattinata della quinta giornata della kermesse capitolina, stasera si replica con la prima per il pubblico in Sala Petrassi (ore 22). [f.d.g.]
Domenica 19 ottobre 2014
21.15
Avevamo appena riassaporato lo stile grafico dell’irlandese Tomm Moore nel suo segmento in Kahlil Gibran’s The Prophet ed ecco che il Festival di Roma ci offre un secondo incontro, più lungo e altrettanto gratificante: Song of the Sea è una ballata fantasy, è il trionfo della composizione delle inquadrature, è l’ennesimo segnale di vitalità dell’animazione tradizionale, è la rivincita delle intuizioni grafiche sul fotorealismo e sulle tenaglie della prospettiva. Ed è, ancora una volta, la dimostrazione della centralità della narrazione. La buona animazione deve partire dalla storia, dalle idee. Grazie Toom Moore. [e.a.]
19.20
Ibrido che mescola senza soluzione di continuità fumetto e cinema, The Knife That Killed Me di Kit Monkman e Marcus Romer colpisce l’occhio dello spettatore con una serie di soluzioni visive di ottima fattura. L’adattamento dell’omonimo libro di Anthony McGowan, presentato nel concorso di Alice nella Città, si tramuta nelle mani dei due registi britannici in un live action pulp, nelle cui vene scorrono citazioni, omaggi e rimandi all’estetica e al linguaggio della graphic novel. [f.d.g.]
19.00
Accoglienza piuttosto calorosa per Trash di Stephen Daldry (da molti associato a The Millionaire di Danny Boyle). Il film racconta l’incredibile avventura di tre ragazzini brasiliani che, dalla loro favela arroccata sulle pendici di una vera e propria montagna di immondizia, si imbarcano in un autentico braccio di ferro con le autorità politiche locali e con la polizia corrotta. Ad innescare questa lotta in difesa della giustizia sociale c’è il ritrovamento di un portafoglio, il cui contenuto si rivela molto più prezioso del previsto. Il film – pur senza essere “indimenticabile” – è formalmente ben congegnato e trova la sua forza in una calibrata modulazione di caratteri diversi (il dramma si stempera nei toni da commedia, il thriller e l’action vanno di pari passo al racconto di formazione): considerato il tema e la contagiosa energia dei tre giovani protagonisti il film potrebbe poter contare su un discreto ascendente sul pubblico. [p.c.]
15.00
Un fiammeggiante melodramma sul narcotraffico, con baci appassionati al tramonto, bambini che giocano in piscina, surfisti idealisti e ribelli. Peccato che si tratti di un biopic su Pablo Escobar, il famigerato narcotrafficante colombiano. Stiamo parlando di Escobar: Paradise Lost di Andrea Di Stefano che ha allietato oggi il pubblico del Festival di Roma con un gigionissimo Benicio Del Toro nei panni di Escobar e Hosh Hatcherson (Hunger Games) in quelli di un surfista yankee che si innamora della nipote del boss. Di azione se ne vede poca, se si eccettuano gli ultimi venti minuti di film, ma c’è molto amore, devozione per la famiglia e poco – o quasi niente – sangue. Il narcotraffico dal volto buono. [d.p.]
14.30
La rinascita del cinema di genere italiano sembra aver trovato quest’anno la sua location d’elezione: Napoli, con il Vesuvio foriero di infausti auspici, il golfo e le sue romantiche vedute, la periferia degradata e attraversata dai traffici della malavita. Dopo il successo di Song ‘e Napule e l’uscita nella sale dell’interessante Take Five, tocca ora ad Alessandro Piva (La capagira, Mio cognato) affrontare una storia di ordinaria camorra, ma nel caso di questo I Milionari, il risultato non è dei migliori. Principale imputata è la sceneggiatura, confusa e ipertrofica, con personaggi che vanno e vengono, uccidono, tradiscono e poi muoiono senza nemmeno avere l’onore di una degna presentazione al cospetto dello spettatore. Tanto a risolvere il problemi narrativi di questa aspirante saga criminale ci pensa poi la voice over del protagonista (Francesco Scianna) alla quale sono affidati i principali snodi narrativi del film, colpi di scena compresi. All’immagine così non resta molto da fare, solo mostrare ciò che è già stato detto, senza troppo riflettere sul ritmo con cui farlo. [d.p.]
14.00
Un affondo nella vita quotidiana di un senzatetto newyorkese, alle prese con problemi burocratico-identitari (è privo di documenti), una figlia oramai affetta da troppo rancore per aiutarlo, un loquace nuovo amico, un fugace incontro amoroso. Sono gli ingredienti di Time out of Mind opera terza di Oren Moverman (The Messenger, Rampart) con protagonista, nonché produttore, Richard Gere. Immersivo e rarefatto, il film di Moverman appartiene ad un cinema che non si fa più da tempo, quello dell’epoca dorata della New Hollywood coi suoi personaggi borderline, solitari e nichilisti, la narrazione messa da parte per lasciare spazio all’immagine e ai corpi degli attori. Pedinato nei suoi percorsi urbani e continuamente incastonato dietro qualche vetrina resa opaca dallo sporco, Gere regala un’interpretazione forte e convincente e anche se la regia di Moverman, appare a tratti un po’ ripetitiva, il suo manierismo, chiaro omaggio al tipo di cinema che lui ama, è impeccabile, dolente e appassionato. [d.p.]
13.45
L’ottima resa della computer grafica, il sempre gradito ritorno del paffuto gattone ghiotto di dorayaki e una lunga serie di gag, spassose soprattutto per spettatori nostalgici, non riescono a coprire l’eccessiva durata di Doraemon – Il film (Stand by Me Doraemon) di Takashi Yamazaki, (in)affidabile orchestratore di blockbuster nipponici (The Eternal Zero, Returner, la mielosa trilogia di Always). Troppi minuti e troppi finali. Sarà interessante testare le reazioni e l’accoglienza del pubblico italiano. [e.a.]
12.05
Le secche della propaganda o, al contrario, della censura sono sempre dietro l’angolo, soprattutto quando si parla di cinema e regime cinesi. Non sfugge alla regola 12 Citizens di Xu Ang, presentato in mattinata alla stampa e inserito in programma all’interno della sezione Cinema d’oggi. Remake di La parola ai giurati di Sidney Lumet (a sua volta tratto dalla piéce di Reginald Rose), il film piega il discorso politico che vi era alla base e che era fondato sul concetto del dubbio (una riflessione sulla democrazia e sulla giustizia, apertamente contro la pena di morte), per fare un ritrattino amorevole delle tante anime della Cina – incarnate più o meno nei dodici protagonisti – anime, che debbono poi necessariamente confluire in uno stato d’armonia di post-confuciana memoria. [a.a.]
11.55
Risveglio morbido e carezzevole quello offerto dalla proiezione del primo mattino di Love, Rosie. La commedia romantica diretta dal regista tedesco Christian Ditter (French for Beginners) è una perfetta sintesi fra la rom-com di scuola britannica e americana. Matrice semplice (love story fra due amici) ma svolgimento complesso (un arco narrativo di 12 anni pieno di matrimoni, funerali, gravidanze e prime volte). Gag fisiche ma puntellate di arguzia e british humour. In pratica, un teen movie con qualche battuta arguta; o una commedia di Richard Curtis modulata su una pop playlist per under 30. Lo sguardo privilegia nettamente il punto di vista femminile, ma al netto (o forse proprio in funzione?) dei momenti più sdolcinati, anche il pubblico maschile in sala ride e applaude empaticamente alle sfighe amorose della giovane protagonista. [e.b.]
Sabato 18 ottobre 2014
22.20
Presentato nella sezione Wired Next Cinema, Io, Arlecchino è diretto da ben due esordienti, Giorgio Pasotti e Matteo Bini. Di cinema del futuro, il film ha ben poco; anzi, fortemente voluto da Pasotti, Io, Arlecchino – come esplicitato dal titolo – vuole ricollegarsi alla grande tradizione delle nostre maschere teatrali e, dunque, in senso lato, alla Commedia dell’Arte. L’intento è nobile e a tratti anche convincente, se non fosse che la regia appare decisamente inadeguata, soprattutto per un film come questo che dovrebbe sempre privilegiare gli attori e invece spesso li ‘sottomette’ a non meglio precisate ambizioni estetiche (vedi dolly e svolazzi vari della macchina da presa). [a.a.]
18.02
Applausi in Sala Petrassi per la prima de Il mio amico Nanuk, Evento Speciale nella sezione Alice nella Città. La coppia formata da Brando Quilici e Roger Spottiswoode ci catapulta tra i ghiacci artici e le tempeste, per raccontare la storia di una grande amicizia tra un ragazzo e un cucciolo di orso polare. Un film per le famiglie dal retrogusto disneyano, che ha nei panorami mozzafiato e in qualche momento di tensione i principali motivi di interesse. Il resto sa di già visto. Nelle sale nostrane dal prossimo 13 novembre con Medusa. [f.d.g.]
15.03
Una vera delusione la masterclass col regista coreano Park Chan-wook. Nessuna domanda sui suoi film, neanche sul celeberrimo Oldboy, e una conversazione che è ruotata solo intorno al cortometraggio che il regista aveva appena presentato, peraltro assolutamente superfluo e dimenticabile (a voler essere generosi…). A Rose Reborn è infatti una sorta di favoletta hi-tech e haute couture che si riduce alla vuota presa di coscienza di un ottimismo antropologico sterile e semplicistico, decisamente oltre che perniciosamente fuori dal tempo e sviluppato in modo narrativamente confuso e approssimativo. La mano registica di Park, nonché il suo virtuosismo e la sua ferocia, cedono il passo a un’impersonalità patinata che non dice nulla in merito all’estetica del regista e alla sua forza e riesce solo ad annoiare anche in soli venti minuti. “All’inizio avevo pensato a qualcosa di più crudo – dice Park al termine della proiezione – ma poi mi sono reso conto che forse era il caso di virare su qualcos’altro e ho fatto bene. Volevo dare una visione sostanzialmente positiva dell’uomo e della realtà, in cui il denaro serve a rendere il mondo un posto migliore e non viceversa. Volevo anche riflettere sulla circolarità e le sue implicazioni, sulle forme tonde, sugli abiti e i loro contrasti. Naturalmente non mi sono trovato immediatamente a mio agio col mondo della moda, ma prendendo confidenza con l’ambiente ho avuto modo di integrarmi al meglio”. A chi gli chiede che differenze ci sono tra il girare in America e il girare in Corea, vista anche la sua esperienza oltreoceano col meraviglioso Stoker, Park assesta il più classico dei colpi al cerchio e alla botte: “Diciamo che alcune cose le preferisco in America e altre in Corea. In Corea il planning di tutto quanto dura troppo, viceversa negli USA è la post-produzione che toglie via troppo tempo…”. [d.e.s.]
15.01
Commozione a più riprese, applausi scroscianti che si sono profusi in una mezza dozzina di standing ovation a tutto campo, un’icona del nostro cinema popolare (ma non solo…) che viene generosamente ringraziata e tributata dai suoi fan più accaniti. La tanto attesa conversazione con Tomas Milian, moderata (si fa per dire, dato l’incontenibilità dell’attore…) da Giona Nazzaro e Manlio Gomarasca, non poteva essere un evento normale e lo si sapeva. Ma alla fine si è andati molto oltre ogni aspettativa, con una serie di episodi irresistibili che stanno lì a testimoniare tutta l’irrefrenabile spontaneità che la vecchiaia sembra aver riversato sull’interprete di Tepepa e Delitto al ristorante cinese, avvicinandolo sempre più a una totale veridicità priva di filtri che il pubblico riesce ancora oggi a percepire e ad adorare. Milian annuncia che farà un nuovo film nei panni di Monnezza (!), scoppia in lacrime più e più volte, tanto nel ricordare le sofferenze di una vita di stenti, con una madre che si disinteressava di lui e un padre fascista e suicida, quanto nel chiamare in causa la moglie da poco defunta. Dedica tutto alla città che più l’ha amato e in cui adesso è tornato, Roma, e al pubblico presente, che ricambia partecipe ed entusiasta, mentre lui parla di tutto e tutti, dall’Actors Studio alla bisessualità che è dentro ognuno di noi e non gli impedì di scendere a compromessi e cedere il suo corpo per fare carriera. “Non sono un piagnone – dice Milian – è che mi commuovo sempre quando parlo d’amore […] Io parlo da cuore a cuore, e di cuore a cuore non si parla coi microfoni, si parla face to face”. E giù un’altra ola, tanto che a un certo punto non sembra esserci via d’uscita dall’applauso continuo e si scatta in piedi ogni tre per due. Ma Milian non risparmia neanche dei gustosi retroscena pecorecci: “Uno scrittore italiano di cui non posso fare il nome, ma davvero famosissimo, praticamente il più grande scrittore italiano di sempre, mi vide fare il frocione a inizio carriera e disse: anche se non sono frocio, io quel ragazzo cubano me lo sarei fatto…”. Sul passaggio al western dal cinema d’autore: “Poi ho finito coi froci, era ora di cominciare coi cavalli. Il mondo dei cavalli non giudica mica”. E le risate non sono finite qui, perché Milian non vuole sentire domande intellettuali su Spielberg, Soderbergh o Tony Scott, ma gli interessa solo: “Raccontare a questi qua cosa cazzo è successo nella mia vita”. Unico. [d.e.s.]
14.11
Al di là di ciò che si possa pensare di volta in volta sul suo cinema, è indubbio che Takashi Miike sia uno dei pochi cineasti irriproducibili del sistema cinema mondiale. Anche Kamisama no iutoori, tradotto con il titolo internazionale As the Gods Will conferma l’idea di un cineasta folle, anarchico, dissacrante e in grado di maneggiare la materia con un’intelligenza rara. Tratto, come spesso capita a Miike, da un manga, As the Gods Will è un teen-movie ipercinetico, in cui la distruzione va di pari passo con un’ironia ai limiti del demente. In attesa di un seguito che sembra inevitabile dopo la sequenza finale, rimane il divertimento a tratti incontenibile (la sequenza del maneki-neko gigante vale da sola la visione) e la sensazione di aver assistito ancora una volta all’opera di un regista libero da vincoli, ateo – di qualsiasi religione si parli, anche del dogmatismo cinefilo – per indole prima ancora che per formazione. [r.m.]
13.50
Torna la comicità surreale, sorniona, un po’ patetica e persino cattiva di Gianni Di Gregorio con Buoni a nulla, presentato oggi al festival nella sezione Gala e nelle sale dal 23 ottobre. Anche questa volta l’interprete-regista mette in scena sé stesso per parlarci di una realtà quotidiana fatta di piccole sconfitte e futili rivalse, vittime e carnefici, servi e padroni, lo specchio perfetto dunque di una società italiana ferma nel tempo e composta di individui in grado di apparire al tempo stesso brutti, sporchi e cattivi ma anche teneri e adorabili. E sebbene il regista di Pranzo di Ferragosto e Gianni e le donne anche in questo caso ripeta indubbiamente sé stesso, è pur vero che riesce a tratteggiare i suoi personaggi e a prendersi cura dei relativi interpreti con acume e passione, per restituirci un’immagine di come siamo, con i nostri pregi e incorreggibili difetti. [d.p.]
09.29
Mentre si svolgono le proiezioni della prima mattina e in attesa che arrivi il momento di Takashi Miike, torniamo sulle visioni di ieri al Maxxi. Nel primo pomeriggio è stato presentato Ato, atalho e vento del brasiliano (paulista) Marcelo Masagão, film di montaggio che attraverso istanti, frame e sequenze estrapolate da centoventi anni di storia del cinema tenta il racconto dell’atto artistico. Meno teorico e sconvolgente di Verifica incerta di Grifi/Baruchello e meno appassionante di Final Cut di György Pálfi, ma imbattersi in certi frammenti di cinema è sempre un piacere.
In serata è stata invece la volta di A Girl Who Walks Home Alone at Night, curioso horror indipendente di Ana Lily Amirpour che non solo mescola la storia di vampiri e l’indie a stelle e strisce degli anni Ottanta (Jarmusch in primis), ma sfrutta un’ambientazione prettamente statunitense per elaborare un racconto in farsi e completamente intriso di cultura iraniana. Esperimento in larga parte riuscito, e che si fa ricordare anche per lo splendido gattone Masuka, che domina in più occasioni la scena. [r.m.]
venerdì 17 ottobre 2014
18.48
In questo momento è in corso, all’interno della retrospettiva dedicata al cinema gotico italiano, la proiezione de I vampiri di Riccardo Freda, lampo nel buio di una cinematografia che fino a quel momento (1957) si era tenuta ben lontana dall’horror. La Parigi fotografata da Freda e Mario Bava – a cui si devono anche i mirabolanti effetti speciali e che può essere considerato a tutti gli effetti un co-regista – è un luogo fantastico, in cui l’Ottocento e il Novecento si fondono in maniera sinistra.
Il vero colpo della giornata è stata però la scoperta, subito prima dell’inizio del film di Freda, del cortometraggio d’esordio di Corrado Farina. Girato in piena autogestione e in un clima familiare ad appena 21 anni, Il figlio di Dracula è uno spassoso divertissement, che gioca con la cinefilia con gusto, intelligenza e una notevole dose d’ironia. Un’opera prima indigente ma ricca di idee, a partire dalla voce fuori campo che domina l’incipit fino ad arrivare all’irridente conclusione. Un piccolo gioiello rimasto finora chiuso nel cassetto, e che permette di riscoprire un regista, Farina, ingiustamente dimenticato eppure in grado in appena due lungometraggi (Baba Yaga e Hanno cambiato faccia) di ridisegnare i codici del cinema di genere italiano ed europeo. [r.m.]
15.17
In tarda mattinata il demonio si è impossessato del Teatro Studio: Quando eu era vivo di Marco Dutra è infatti un viaggio atmosferico nell’occultismo, che sembra trarre ispirazione – in parte – dalle angosciose visioni d’interni di Roman Polanski e David Lynch. Il risultato è un horror ammaliante, non perfettamente compiuto da un punto di vista narrativo ma in grado di irretire con una certa assiduità la retina. Un buon modo di inaugurare Mondo Genere, la nuova sezione del festival dedicata a quelli che un tempo sarebbero stati definiti Midnight Movie… [r.m.]
14.20
Un recupero inevitabile ieri sera: la versione restaurata di Operazione paura (1966) di Mario Bava, presentata nell’ambito della retrospettiva dedicata al cinema gotico italiano. Recuperato per il restauro da un negativo originale in 35mm e proiettato in 2k, Operazione paura è stato mostrato in una copia che è riuscita a restituire la formidabile vivacità cromatica del film. Ad accompagnare la proiezione, c’erano tra gli altri anche Joe Dante, che ci ha ricordato di come il suo cinema sia debitore del talento e delle straordinarie intuizioni visive e registiche del cineasta italiano. Purtroppo però non c’era molto pubblico ad accogliere l’evento – anche se quello che c’era era molto affezionato – e purtroppo ha rovinato un po’ la situazione una disastrosa interprete che, nel tradurre dall’inglese all’italiano, non capiva nemmeno le parole più elementari e ha costretto così Müller a intervenire più volte per correre ai ripari. [a.a.]
13.00
Basterebbero i nomi (e l’arte) di Tomm Moore (The Secret of Kells, Song of the Sea), Nina Paley (Sita Sings the Blues), Joan Gratz (Mona Lisa Descending a Staircase) e Bill Plympton (Idiots and Angels, I Married a Strange Person!) per dare un senso compiuto alla visione di Kahlil Gibran’s The Prophet, lungometraggio d’animazione presentato nelle sezione Gala e Alice nella città. Qualche dubbio sulla cornice narrativa, affidata a Rogers Allers e dagli inevitabili riflessi disneyani, ma serviva un contenitore narrativo (convincente soprattutto nella seconda parte, quando i toni si fanno più seri) per dare libero sfogo al talento grafico e pittorico dei singoli registi/animatori. Preso al balzo dalla Good Films. [e.a.]
12.30
Per lunghi tratti antinarrativo e vagamente nebuloso Eden di Mia Hansen-Løve è probabilmente tra i film più attesi, specie dai cinefili musicofili (che non sono certo pochi), di questa nona edizione del Festival. Per il suo quarto lungometraggio, la regista di Il padre dei miei figli si imbarca nel resoconto semi-documentaristico della scena house francese di fine anni ’90. Si susseguono serate, riunioni domestiche, incontri amorosi o lavorativi, tutto con uno stile da “presa diretta” che non riesce però a nascondere il proprio meccanismo specie quando poi la regista va a chiudere la parabola dei suoi “antieroi”, fatta di effimera ascesa e rapida caduta, passione musicale e dipendenza da stupefacenti, con eventi a dir poco prevedibili come suicidi, maternità e disintossicazioni. [d.p.]
11.30
Prossimamente nelle sale nostrane con Good Films, approda in anteprima europea al Festival di Roma nella sezione Galà, Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland. Intensa e struggente, anche se evasiva quando si tratta di mostrare le più dure conseguenze della malattia, la pellicola ha nella coinvolgente e straordinaria performance davanti la macchina da presa di una Julianne Moore in stato di grazia il vero motore portante (ci sentiamo di scommettere su una nomination alla prossima notte degli Oscar). L’attrice, seppur sostenuta da un buon cast, si carica infatti sulle spalle tutto il peso di un dramma intimista e familiare che trascina lo spettatore nella vicenda di una donna di successo, tenace e caparbia, a cui viene diagnosticata una rara forma genetica precoce di Alzheimer. [f.d.g.]
Giovedì 16 ottobre 2014
01.00
Non riesce a convincere del tutto We Are Young. We Are Strong di Burhan Qurbani, resoconto corale della rivolta xenofoba contro un centro d’accoglienza per richiedenti asilo, avvenuta a Rostok nel 1992. Il regista di Shahada, prosegue la sua analisi su temi di un certo spessore come l’integrazione culturale, il razzismo e la crescita personale, ma anche in questo caso, finisce vittima di un certo schematismo narrativo così come delle proprie velleità registiche. Tra bianco e nero e colore, rallenty e vistuosismi visivi non sempre coordinati a momenti davvero salienti del racconto, We Are Young. We Are Strong si configura come un’opera sovrastata dall’egocentrismo del suo autore, troppo a lungo incerta sulla direzione da imboccare, rigida nel suo alternare le vicende di vari personaggi nel corso di un’unica giornata e infine prevedibile nella sua conclusione. [d.p.]
21.44
Un Jeunet al di sotto delle sue potenzialità immaginifiche, al servizio della trasposizione cinematografica del romanzo di Reif Larsen, “The Selected Works of T.S. Spivet”. Presentato fuori concorso nella sezione Alice nella Città, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, ritorno dietro la macchina da presa del cineasta francese a distanza di cinque anni dal pregevole L’esplosivo piano di Bazil, si tiene a galla grazie alle solite trovate visive, allo humour sottile e alla bravura del suo giovane protagonista. [f.d.g.]
17.04
In occasione del 71esimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma per mano dei nazisti, il festival di Roma ricorda il tragico evento presentando, già nel primo giorno della manifestazione, il documentario di Oren Jacoby My Italian Secret – Gli eroi dimenticati, che di quel momento buio della nostra storia non evoca soltanto la ricorrenza ma svela anche un retroscena tutt’altro che di dominio pubblico, inerente la figura di Bartali e il suo ruolo attivo nel salvare concretamente delle vite umane. L’autore di Sister Rose’s Passion, film che gli valse la nomination all’Oscar come miglior documentario, non riesce però a staccarsi da quello che sembra un collage di testimonianze raccolte e assemblate in modo alquanto prevedibile, in cui alla necessità della riscoperta collettiva non corrisponde una forma capace di distanziarsi da un qualsiasi rotocalco d’impegno televisivo o di approfondimento storico. [d.e.s.]
15.50
In attesa dell’uscita nelle sale nostrane con Videa CDE, Guida tascabile per la felicità di Rob Meyer approda sugli schermi della nona edizione del Festival di Roma nel concorso di Alice nella Città. Un’opera prima fresca, semplice e divertente che cavalca l’onda della teen-comedy senza scivolare negli stereotipi del filone. Un viaggio nella natura e dentro se stessi in odore di romanzo di formazione, che consente al regista statunitense di parlare di sentimenti, rapporti generazionali, amicizia ed elaborazione del lutto. E la mente non può non tornare a Stand By Me, ma con le debite distanze. [f.d.g.]
15.45
La nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma inizia con una brutta sorpresa: gli accreditati stampa che di prima mattina si sono recati alla sala Petrassi per vedere The Dead End di Cao Baoping, nuovo e atteso lavoro per il regista di Einstein and Einstein, hanno scoperto che il film è stato eliminato dalla programmazione per i soliti problemi con la censura cinese. Tutti dirottati da Genovesi, allora, con il suo Soap Opera. L’autore di opere terrificanti come La peggior settimana della mia vita e Il peggior Natale della mia vita (oltre che artefice della sceneggiatura di Happy Family, forse il film più brutto di Salvatores, prima ancora che realizzasse Educazione siberiana) stavolta si lascia andare a un surreale sfilacciato – evidentemente la sua vera natura – per un film pieno di gag a sé stanti e di trovatine dal basso respiro, che lasciano spazio qua e là a qualche momento effettivamente divertente. Soap Opera finisce perciò per essere un film spiazzante e disturbante, urticante perfino, ma in fin dei conti libero e ben determinato ad affrontare il disastro che gli si para davanti. Un titolo italiano eccentrico dunque, forse involontaria parodia del main stream, e non ci sembra sbagliato dire che questa scelta rientra perfettamente nel tipico approccio con cui Müller vede il nostro disastrato sistema cinematografico. [a.a.]