Cannes 2024 – Minuto per minuto

Cannes 2024 – Minuto per minuto

Cannes 2024, settantasettesima edizione del festival transalpino, torna alla carica, e porta con sé la prenotazione dei posti in sala (con annesse crisi degli accreditati), e la sua solita struttura formata tra concorso, Un certain regard, film fuori dalla competizione, sezioni collaterali. Due settimane di cinema, gioie e dolori, stanchezze assortite, in attesa di scoprire su quale titolo si concentreranno le attenzioni della giuria. Come sempre cercheremo di raccontarvi quello che accade sulla Croisette, tra accenni critici sui film, note sparse, impressioni e aneddoti. Buona lettura, e buon divertimento!

Sabato 25 maggio 2024
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20.35
Rullo di tamburi. Ecco i premi e la Palma d’oro. Insomma, è finita, ci si rivede il prossimo anno sulla Croisette per il Festival di Cannes 2025. Ma, intanto, la giuria composta da Greta Gerwig, Ebru Ceylan, Lily Gladstone, Eva Green, Nadine Labaki, Juan Antonio Bayona, Pierfrancesco Favino, Hirokazu Kore-eda e Omar Sy ha deciso che…
Palme d’or: ANORA di Sean Baker.
Grand Prix: ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadia.
Prix du Jury: EMILIA PÉREZ di Jacques Audiard.
Prix de la Mise en Scène: MIGUEL GOMES per Grand Tour.
Prix Spécial: MOHAMMAD RASOULOF per Les Graines du figuier sauvage.
Prix d’Interprétation Masculine: JESSE PLEMONS per Kinds of Kindness di Yórgos Lánthimos.
Prix d’Interprétation Féminine: ADRIANA PAZ, ZOE SALDAÑA, KARLA SOFÍA GASCÓN e SELENA GOMEZ per Emilia Pérez di Jacques Audiard.
Prix du Scénario: THE SUBSTANCE di Coralie Fargeat. [e.a.]

14.30
In attesa della Palma d’oro e degli altri premi principali, buttiamo un occhio ai vincitori di ieri per la sezione Un Certain Regard.
Prix Un Certain Regard: Black Dog di Guan Hu.
Prix du Jury: L’Histoire de Souleymane di Boris Lojkine.
Meilleure Réalisation ex aequo: Roberto Minervini per I dannati e Rungano Nyoni per On Becoming a Guinea Fowl.
Meilleur Acteur: Abou Sangaré per L’Histoire de Souleymane.
Meilleure Actrice: Anasuya Sengupta per The Shameless.
Prix de la Jeunesse: Vingt Dieux di Louise Courvoisier.
Mention spéciale: Norah di Tawfik Alzaidi. [e.a.]

Venerdì 24 maggio 2024
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19.22
Per mettere (quasi, manca Hazanavicius) fine al concorso non poteva che arrivare l’opera in grado con ogni probabilità di mettere d’accordo una giuria all’unanimità: The Seed of the Sacred Fig è il nuovo lavoro del grande cineasta iraniano Mohammad Rasoulof, che poche settimane fa è fuggito dalla propria nazione dopo aver subito l’ennesima condanna dal Tribunale Rivoluzionario, proprio quel tribunale che il suo film attacca in modo diretto, partendo però dal concetto che il privato è sempre politico. Non usa mezzi termini Rasoulof per mostrare le atroci iniquità del sistema politico e giuridico iraniano, e lo fa con un film teso come una corda di violino, durissimo, e perfino a tratti incline al “genere”. Dopotutto, si sa, se in un film si mostra una pistola quest’ultima dovrà sparare… [r.m.]

17.20
Presente in abbondante quantità, ma anche e soprattutto qualità, il cinema d’animazione a Cannes (nonostante le tante, troppe parole di circostanza di Thierry Frémaux e soci) fatica a trovare il giusto spazio e la meritata rilevanza. Era relegato sulla spiaggia l’autobiografico e poetico gioiello Slocum et moi di Jean-François Laguionie, recuperato per fortuna nella sala Bazin. Meno pubblico ma più stampa. Forse servirà a qualcosa. Oramai anziano, ottantaquattro anni portati con splendore, speriamo già proiettato verso un nuovo lungometraggio, Laguionie mescola con grazia illuminata i tratti appena accennati dell’animazione tradizionale con le ampie possibilità della computer grafica. Un film di ricordi e di immagini spesso sfumate, anche scarabocchiate, capaci di giostrare gli spazi vuoti, il bianco, quelle porzioni che non servono – e che spesso sono malamente riempite nell’animazione mainstream in cgi. Piazzato invece nella prestigiosa sezione Un Certain Regard, Flow di Gints Zilbalodis è deflagrato sul grande schermo della sala Debussy. Qui la computer grafica domina incontrastata, crea mondi, disegna scenari abnormi, rende possibili corse disperate e maremoti di incalcolabili proporzioni. Un po’ L’incredibile avventura, ma in una scala geografica, estetica e umana debordante e magnifica. Un giorno si avrà forse il coraggio di proporre la grande animazione in concorso. Un giorno… [e.a.]

15.30
Ed ecco due documentari sullo sport che scelgono strade decisamente distanti dal punto di vista dell’etica sportiva (e cinematografica). Da un lato, pensato e realizzato per glorificare il movimento sportivo francese, soprattutto ai piani alti: Olympiques! La France des Jeux di Mickaël Gamrasni. Novantanove minuti di trionfi, nazionalismo, competizione, sete di vittoria, grandeur, ancora nazionalismo. Una sequenza: tra tanti (straordinari) atleti francesi medagliati, ecco una parentesi dedicata a rovinose cadute, fallimenti, errori. Tutti di atleti non francesi, ovviamente. Poi, certo, basterebbe la corsa statuaria di Marie-José Pérec per rendere appetibile il documentario – e lì, tra l’altro, il discorso su Guadalupa e le ex-colonie francesi ci sembra fin troppo semplificato. Dall’altra, pur di parte ma decisamente più brillante ed equilibrato, Nasty di Tudor Giurgiu, Cristian Pascariu e Tudor D. Popescu. È presentato dalla Ion Țiriac Foundation, quindi si gioca a carte scoperte, ed è chiaramente un omaggio all’abnorme talento di Ilie Năstase e alla sagacia non solo sportiva di Ion Țiriac. Vittorie, trionfi, ma anche lati oscuri, limiti, errori madornali (dentro e fuori dal campo). Il fascino di Năstase ma anche il suo caratteraccio (si veda l’insensato martirio del malcapitato Arthur Ashe). E poi la dolce vita, gli amici di sempre, la generosità, la fine del comunismo, la parabola discendente, l’uscita purtroppo infelice su Serena Williams. Persino la sua carriera musicale. Divo, geniale, a tratti infantile. Attraverso Năstase ripercorriamo anche il tennis degli anni Settanta e Ottanta, l’epoca della grande svolta, dei tennisti\artisti, di Jimbo, Maccaroni (McEnroe) e Negroni (sì, proprio Ashe). C’è anche Mansour Bahrami. Sono molto amici e forse basterebbe questo per capire e apprezzare Năstase. [e.a.]

12.02
Il terzultimo film presentato in concorso, ieri in tarda serata, è stato All We Imagine as Light, secondo lungometraggio per la trentottenne indiana Payal Kapadia (anche l’esordio A Night of Knowning Nothing era a Cannes, ma nella Quinzaine) e primo lavoro di “finzione”: una storia che ruota attorno a tre donne, ai loro desideri e alle loro disillusioni, dapprima a Mumbai e quindi in un villaggio sulla costa, tratteggiata con stile, intelligenza, e una notevole attenzione alla messa in scena. Un bel film che, anche considerando la composizione della giuria, non stupirebbe veder premiato, anche con un riconoscimento decisamente importante. [r.m.]

Giovedì 23 maggio 2024
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21.31
Alle ultime battute del Concorso, arrivano le due ore e cinquanta minuti di L’amour ouf di Gilles Lellouche, incontro non virtuoso tra una miniserie, un action, un coming of age, un racconto di amour fou, un film musicale, il tutto senza scegliere mai cosa raccontare precisamente, ma buttando dentro tutto quasi alla cieca. La regia senza arte né parte, ma decisa a essere eclettica, inquadra un papponazzo indigeribile diviso in due metà (adolescenza ed età adulta) con due personaggi innamorati al di là di ogni ragione, non credibili ma neppure simbolici. Privi di sviluppo psicologico ma neppure elevabili a metafora di alcunché. Senza centro e senza sguardo, uno dei punti più bassi di Cannes 77. Con la brava e sprecata Adèle Exarchopoulos. [e.b.]

17.50
Sono passati esattamente sessant’anni dalla folgorante Palma d’oro di Cannes 1964, Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy. Ed ecco, allora, questo capolavoro in versione restaurata in 4K a colmare tutti gli sguardi possibili nella sala Varda, ovviamente nella sezione Cannes Classics. Ad accompagnare il film, sempre nella stessa sezione, il documentario Jacques Demy, Le Rose Et Le Noir di Florence Platarets (Godard par Godard). Dal punto di vista dei classici, un’edizione difficilmente eguagliabile: Napoléon, I sette samurai, Les Parapluies de Cherbourg. Geneviève e Guy, indimenticabili. Immortali. [e.a.]

15.00
Buone notizie: dopo il ventaccio di ieri e la proiezione della Plage saltata per evitare danni, il Festival ha fortunatamente trovato un angolino per piazzare quella che sarà l’unica proiezione di Slocum et moi di Jean-François Laguionie. Sempre sul fronte animato, grazioso anche se un tantinello troppo derivativo Angelo dans la forêt mystérieuse di Vincent Paronnaud e Alexis Ducord. Un intreccio di stili e tecniche d’animazione, di immaginari e generi. Si guarda al fantasy e alla fantascienza, all’avventura, ma anche all’animazione degli anni Venti\Trenta. Un po’ di Groot, un po’ di Gru e il viaggio del piccolo Angelo si rivela gradevole, ad altezza bambino, con un occhio (un po’ scontato) all’ambiente e ai buoni sentimenti. [e.a.]

13.04
Stamane la giornata è invece iniziata con Le Comte de Monte-Cristo, adattamento che si muove all’interno del nuovo interesse produttivo francese per l’opera di Alexandre Dumas: il film, diretto a quattro mani da Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, si protrae per tre ore – durata comprensibile, vista la mole del romanzo – ma non possiede nessun guizzo particolare, né sorprendente. Un lavoro professionale ma un po’ piatto e privo di anima, anche perché l’altrove bravo Pierre Niney non sembra particolarmente adatto al ruolo. A Pierfrancesco Favino è affidato il breve ma fondamentale ruolo dell’abate Faria. [r.m.]

12.55
Si torna un momento a ieri sera, e alla proiezione stampa di Motel Destino, il film con cui il cinquattottenne Karim Aïnouz torna a girare in Brasile e si ripropone sulla Croisette a un anno di distanza dall’inglese (e dimenticabile) Firebrand. Qui il regista di Fortaleza torna ai colori vividissimi di O céu de Suely, con cui si fece notare nella Venezia del 2006, per un triangolo erotico che per certi versi sembra ispirarsi a Il postino suona sempre due volte salvo poi intraprendere vie personali. Divertito, ben diretto, a lungo andare forse un po’ sterile. [r.m.]

11.22
Presentato tra le Proiezioni speciali, Spectateurs! è il racconto firmato da Arnaud Desplechin della sua vita da spettatore e cinefilo, studente di cinema e innamorato della settima arte. Tra documentario e finzione, il regista nel film si chiama Paul e ricorda alcuni momenti fondamentali per la propria esistenza: la visione a 14 anni di Sussurri e grida in sala, l’amore per Francis Ford Coppola, l’avvistamento da bambino di uno strano film che suo padre, disse, era diretto dal più grande di tutti i cineasti (si tratta di Dreyer e il padre non sa dare una motivazione alla sua estasiata affermazione), fino al lavoro che ha cambiato per sempre la vita di Desplechin ossia Shoah di Claude Lanzmann. Tra queste rimembranze si riflette anche sul rapporto tra cinema e fotografia, tra cinema e pittura, drll’ontologia dell’immagine in Bazin per concludere che il cinema cattura la realtà e la restituisce dallo schermo dotata di un significato. [e.b.]

11.00
In concorso e forse con buone possibilità di andare a premio, Grand Tour di Miguel Gomes non delude le premesse\promesse, ci prende per mano e ci porta in giro per l’Asia, in un flusso narrativo dal ritmo sospeso e dalla stratificazione abbacinante, in un fertilissimo cortocircuito temporale, linguistico, estetico, artistico. Un tour de force anche produttivo, internazionale, che mescola l’afflato documentaristico dei paesaggi asiatici e il mirabolante lavoro su scenografie, costumi e tutto quel che segue realizzato nel Bel Paese. Cinema fuori tempo, cinema purissimo. [e.a.]

09.48
Dopo i due documentari su Fidel Castro e A Sud del confine su Chavez e la rinascita socialista in America Latina, Oliver Stone prosegue il suo viaggio cinematografico nel continente con Lula, cofirmato con Rob Wilson e dedicato, ovviamente, al Presidente brasiliano rieletto alla fine del 2023. Incorniciato da un’intervista con il politico che ha fondato il Partito dei lavoratori, il film si concentra soprattutto sulla ricostruzione dello scandalo legato alla corruzione che portò alle dimissioni la delfina di Lula, Dilma Rousseff, e condusse lo stesso Lula in galera: Stone è interessato infatti molto a capire chi lo abbia architettato (Lula è stato poi prosciolto da ogni accusa) e punta il dito anche contro gli Stati Uniti, che secondo le testimonianze hanno agevolato le condizioni per mettere fuori gioco la sinistra brasiliana – che ha tanto supportato il rafforzamento del gruppo dei Brics – e portare in auge un politico più affine all’amministrazione americana, il fascista Bolsonaro. Se dal documentario del grande cineasta emerge anche un ritratto di Lula da Silva, quel che pare premere molto a Stone è scoperchiare la cattiva coscienza della democrazia in cui è nato, per cui ha combattuto patriotticamente in Vietnam e con la quale non è più da lustri disposto a compromessi. [e.b.]

Mercoledì 22 maggio 2024
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23.59
Vento a 35 Km\h e schermo sulla plage che sembrava la vela di Azzurra dei bei tempi andati. Insomma, a farla breve, l’unica proiezione prevista per Slocum et moi è stata annullata per evitare (il rischio c’era davvero) morti e feriti. Come già successo, sempre con l’animazione, relegare un film alla sola proiezione nella sezione Cinéma de la Plage non è un’idea brillante e soprattutto rispettosa. Cannes proverà a porre rimedio trovando lo spazio per un’altra proiezione? Tra l’altro, si tratta(va) del nuovo e forse ultimo film di Jean-François Laguionie, un pezzo di storia del cinema transalpino. [e.a.]

12.20
La massiccia presenza dell’animazione a Cannes è casuale, figlia del notevolissimo stato di salute dell’industria transalpina e non di un cambio di rotta del festival. Poi, certo, sono arrivati a sorpresa i corti dello Studio Ghibli, ma già la logica di questa Palma è balbettante (basterebbe ricordare Takahata relegato in Quinzaine…). Grazie alla solita Quinzaine abbiamo potuto ammirare Ghost Cat Anzu (che, guarda caso, batte anche bandiera francese) di Yōko Kuno e il sempre adorabile Nobuhiro Yamashita, autore dell’indimenticabile Linda Linda Linda. Coprodotto da Shin-Ei Animation e dalla piccola ma ambiziosa Miyu Productions, Ghost Cat Anzu prende le distanze dallo standard grafico dell’industria degli anime, coprendo i limiti produttivi con idee, ritmo, linee libere di essere incerte ma funzionali. Divertente, commovente, sbalestrato con garbo, gattofilo in abbondanza. Un po’ il A Letter to Momo del nuovo decennio. [e.a.]

09.11
Ieri sera è stata la volta dell’unico film in concorso diretto da un italiano (le produzioni italiane in competizione sono invece di più, da Marcello mio di Honoré a Grand Tour di Miguel Gomes), vale a dire Parthenope di Paolo Sorrentino, che innalza un inno alla sua città natale. Almeno sulla carta, perché nel peregrinare della bellissima protagonista – la ventiseienne Celeste Dalla Porta, radiosa ma priva di spessore recitativo – non si riesce mai davvero a percepire qualcosa che vada al di là del mero bozzetto retorico, dominato da uno stile sempre più povero di contenuti, film dopo film. [r.m.]

Martedì 21 maggio 2024
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21.55
Ci siamo avvicinati a Maria di Jessica Palud (presentato in Cannes Première) con un misto di curiosità e circospezione: l’idea di rileggere la lavorazione di Ultimo tango a Parigi nell’ottica di Maria Schneider presentava infatti non poche insidie, che hanno prodotto un acceso dibattito negli ultimi decenni. Purtroppo quello che poteva diventare un interessante studio sul rapporto di forza tra regista e attrice si trasforma in una mera requisitoria contro Bernardo Bertolucci, additato neanche fosse un serial killer e ridotto a uomo meschino e profittatore del tutto disinteressato agli esseri umani – alle donne, ovviamente. Un’operazione in tutta franchezza indifendibile, ma anche sciatta da un punto di vista cinematografico, atta solo a produrre un j’accuse contro un essere umano che per di più non ha più neanche la possibilità di difendersi, o di essere difeso – è venuta meno anche Clare Peploe. Applausi scroscianti in sala, che fanno scorrere un sincero brivido lungo la schiena. Un film che è vilipendio non di uno, ma ben di tre cadaveri: Bertolucci, Brando e la stessa Schneider. [r.m.]

21.28
In Concorso è stato accolto anche con una dose di generosità la nuova fatica di Christophe Honoré, che in Marcello mio coinvolge Chiara Mastroianni in un’idea abbastanza bizzarra: quella di voler essere riconosciuta come suo padre, abbigliandosi alla sua maniera, parlando in italiano, e mandando ai matti un po’ tutti in quel di Parigi (a partire dalla mamma Catherine Deneuve). Ognuno, ça va sans dire, interpreta se stesso, da Fabrice Luchini a Nicole Garcia, passando per Melvil Poupaud e Benjamin Biolay, ex consorte di Chiara Mastroianni. Il detto che un bel gioco dura poco non deve essere conosciuto a Honoré, che la tira inutilmente per le lunghe nonostante la prova di carattere della sua protagonista, anche per via di una serie di scelte narrative in tutta franchezza ben poco convincenti. [r.m.]

17.59
Sean Baker torna in Concorso a Cannes con Anora, commedia rocambolesca su una ventenne che lavora in uno strip club dove conosce un coetaneo russo, figlio di un mega-multimilionario dunque indecentemente (e indirettamente) ricco. Riprendendo l’idea di Pretty Woman, il giovinastro finirà per ingaggiare la bella Anora per una settimana, dove sarà la sua girlfriend dietro lauto compenso, con conseguenze meno romantiche rispetto al film con Julia Roberts eppure prevedibili fin dall’inizio. A maggior ragione appesantisce che il regista americano la tiri così per le lunghe (quasi due ore e venti), risultando il lavoro meno efficace e più estenuante di quanto potrebbe essere. [e.b.]

16.21
In Cannes Première è stato presentato Miséricorde, il nuovo lavoro del sempre sorprendente Alain Guiraudie, che ambienta nell’Ardèche una commedia che si tinge ben presto di nero pece, e punta a riflettere sul concetto di peccato, e del senso sopravvalutato della redenzione. Stracolmo di colpi di scena, anche i più impensabili e improponibili, Miséricorde è una boccata d’aria fresca, grazie anche alla regia basata sulle reiterazioni eppur mai stancante di Guiraudie. Avrebbe meritato Un certain regard, ma forse forse anche il concorso principale… [r.m.]

09.33
In serata è stata poi la volta di The Shrouds, l’atteso nuovo film di David Cronenberg: accolto con una certa freddezza dagli addetti ai lavori si tratta in realtà di un lavoro profondamente autobiografico – il film ruota attorno alla vedovanza, e la moglie del regista è morta sette anni fa -, che ragiona sul post-mortem e sul lutto rivendicando la necessità impellente della carne, della materia tangibile, perfino dopo il decesso. Un film sul desiderio, la vendetta, la gelosia come motori dell’umano agire, e forse dell’essere in quanto tale, che depista in continuazione gli spettatori fingendosi altro (film di genere, noir, thriller geopolitico) per non staccarsi mai davvero dall’ossessione del ricordo di chi fu vivo, e vivo non è più. [r.m.]

09.25
Torniamo con la mente alla giornata di ieri, e ai film presentati in concorso. Nel pomeriggio è stato proiettato The Apprentice, quarto lungometraggio dell’iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi che dopo Holy Spider torna in competizione con la biografia nientemeno che del giovane Donald Trump. Un progetto ambizioso, che rinnova la sua vanità autoriale con una scelta estetica bipartita – prima parte a imitare la pellicola degli anni Settanta, seconda con la qualità tipica della ripresa televisiva del decennio successivo -, ma che non trova terreno fertile nel senso di ciò che si sta mettendo in scena. Il risultato è che viene da chiedersi in più occasioni dove voglia veramente andare a parare Abbasi, al di là della mera cronologia di un super-cattivo che non possiede sfumature, né viene indagato nel profondo. [e.b.]

Lunedì 20 maggio 2024
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18.55
Et voilà, finita la lunga cerimonia di premiazione, rieccoci qui per alcune annotazioni. Al di là dell’ironia di Miyazaki e Suzuki (che hanno mandato un divertente siparietto, molto dissacrante), di Goro Miyazaki sull’Oscar e sulla Palma, e sorvolando su una scaletta con qualche sbavatura (Le vent se lève, il faut tenter de vivre…), quel che conta davvero erano i quattro cortometraggi ghibliani. Oddio, anche i cadeaux mica erano male, da far sbavare i collezionisti. Mei and the Kitten Bus (Mei to Konekobasu, 2002) era probabilmente quello più atteso: piccolo e delicatissimo sequel de Il mio vicino Totoro, il corto di Miyazaki ci riporta in quella dimensione rurale e sospesa che ha fatto la fortuna dello Studio Ghibli, tra un numero incalcolabile di gattobus di qualsiasi forma e dimensione e mille altri spiriti della foresta. Un ritorno a casa. Looking for a Home (Yadosagashi, 2006) riecheggia l’irrealizzato progetto di Pippi Calzelunghe, e anche ovviamente Panda Kopanda, e apre a tratti più sperimentali, a deformazioni che in Miyazaki vedremo molto più avanti e a un utilizzo molto creativo del sonoro, tradotto anche graficamente. Mr. Dough and the Egg Princess (Pandane to Tamago-hime, 2010) è strepitoso, potenzialmente un lungometraggio, con un intero mondo illustrato in pochi minuti e suggestioni che partono da La città incantata e Il castello errante di Howl per poi arrivare a mirabolanti citazioni interne, su tutte Laputa\Nausicaä. Infine, il più recente, Boro the Caterpillar (Kemushi no Boro, 2018). Doveva essere l’ultimo lavoro di Miyazaki, ma sappiamo che non è andata così. E doveva essere in computer grafica. Sì, è in CGI, ma sembra animazione tradizionale con un po’ di computer grafica, qui e lì. Un lavoro incredibile, anche un po’ folle, con la testardaggine di Miyazaki che alla fine ha piegato la tanto detestata CGI al suo volere e al suo credo estetico. Una delle proiezioni memorabili di Cannes 2024. [e.a.]

14.50
In attesa della cerimonia di premiazione dello Studio Ghibli, resa imperdibile dalla proiezione di quattro corti fino a oggi visibili solo nella sala del Museo Ghibli, torniamo a ieri sera e al documentario Hayao Miyazaki and The Heron di Kaku Arakawa, altro titolo di Cannes Classics. Videobiografo di Miyazaki, Arakawa ha realizzato un montaggio più ampio rispetto a 2399 days with Hayao Miyazaki & Studio Ghibli, continuando quel pedinamento ravvicinato e frammentario già visto Never-Ending Man: Hayao Miyazaki. Passaggi significativi, altri meno, momenti di commozione. Per cultori e appassionati, astenersi perditempo. [e.a.]

14.25
Megalopolis, atto secondo. Dopo la titanica impresa di Coppola, ecco un’altra operazione mastodontica. E folle. In questo caso, in parte mettendoci soldoni di tasca sua, è Kevin Costner a osare l’impossibile, lanciandosi contro i mulini a vento del Tempo, delle logiche distributive e probabilmente anche delle attese spettatoriali. Il primo capitolo di Horizon: An American Saga, western dall’evidente respiro epico, ha tutto quel che serve per NON riuscire. Primo di quattro capitoli, col terzo e quarto ancora da girare, Horizon scivola ben presto dalle (più che apprezzabili) ambizioni cinematografiche a una dimensione via via sempre più televisiva, anche nel senso più deleterio. La scrittura non riesce a gestire entrate e uscite di scena di tutti i personaggi e dalla Horizon del titolo si dipanano troppi piani narrativi, troppe carovane o gruppi grandi e piccoli. C’è praticamente tutto, c’è praticamente troppo. Lo vedremo in sala, idem la seconda parte (già ampiamente anticipata nel montaggio finale), e già ci domandiamo se la terza e la quarta vedranno la luce. Siamo dalle parti della serie anni Settanta Alla conquista del West (How the West Was Won, 1976-79), ma in quel caso la partita – ampiamente vinta! – si giocava sul piccolo schermo. Costner potrebbe anche essere un novello Zebulon Macahan, ma servirà un mezzo miracolo. [e.a.]

Domenica 19 maggio 2024
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19.45
Film per bambini e film sui bambini (o poco più). Il primo, Sauvages, ci riconsegna la stop motion fanciullesca nell’estetica ma non nei contenuti dello svizzero Claude Barras (La mia vita da Zucchina). Piazzato nella più che discutibile Séances spéciales Jeune Public, Sauvages è senza dubbio tarato su un pubblico giovane, soprattutto per veicolare un discorso basilare ma interessante sull’ambiente, sul rispetto degli spazi e delle tradizioni altrui, sui differenti stili di vita. E, tra l’altro, sulle forme di protesta, resistenza, boicottaggio, persino violenza. Insomma, un po’ ci ricorda lo spirito combattivo dei paffuti e sinuosi protagonisti del lungometraggio Le avventure di Barbapapà – erano gli anni Settanta, non a caso. Sono invece preadolescenti i due splendidi protagonisti di My Sunshine di Hiroshi Okuyama, presentato in Un Certain Regard: storia lieve, quasi impercettibile, candida come la neve che ricopre l’intero paesaggio, sussurrata anche nei pochi momenti drammatici. Takuya (Koshiyama Keitatsu) e Sakura (Kiara Nakanishi) danzano sul ghiaccio, le stagioni scorrono lentamente, la neve alla fine si scioglie. Non il colpo di fulmine che avremmo sperato, ma intanto ci segniamo questo Okuyama. [e.a.]

17.54
The Ballad, così Kirill Serebrennikov ritma il suo Limonov, ritratto dello scrittore, pensatore, agitatore, politico russo morto nel 2020 a 76 anni. Tra(d)endo ispirazione dal celeberrimo volume di Emmanuel Carrère, il regista russo firma una biografia più concentrata sul lato sentimentale della vita di Limonov che su quello politico, sbilanciando il discorso, perdendosi dietro l’agit-pop tipico del suo cinema e di fatto dimostrando di apprezzare – e forse cercar di comprendere – ben poco l’essere umano che sta tentando di rappresentare. Alcune scelte, come quella del recitato in inglese, sono difficili da accettare, anche se perfino in un film così slabbrato sorprende positivamente che ci sia ancora qualcuno in grado di riconoscere il valore della cultura russa nonostante tutto quel che è accaduto e sta accadendo. Andrà a premio, probabilmente, ma si tratterà di un riconoscimento davvero generoso. [r.m.]

17.47
Più un Nicolas Cage Movie che un revenge movie. E, sì, è davvero strana la parabola attoriale di Cage, il suo rapporto col pubblico, il ritorno a scelte più oculate, a un cinema autoriale o comunque ambizioso. Thriller psicologico a tratti un po’ disturbante, The Surfer conferma non solo l’aura magica di Cage ma anche il talento di Lorcan Finnegan, soprattutto sul piano visivo. Sul piano squisitamente narrativo, invece, il nuovo film del regista di finisce per restare imbrigliato nel suo stesso microcosmo, incapace di scavare sotto la pur ammirevole superficie – in fin dei conti, tanto per citare un titolo a caso tra i tanti, e neppure nobile, non è che si vada molto più in là sul piano sociologico di The Skulls. Finnegan è comunque un regista da seguire e Cage si conferma un plus valore. [e.a.]

16.45
I film corrono più veloci di noi. Proviamo a recuperare un po’ di terreno e torniamo a ieri: Jim Henson Idea Man e Rumors. Il primo è un documentario di Ron Howard, brillante anche nella presentazione in sala Varda. Atmosfera festosa per un omaggio ottimamente confezionato a un genio della televisione statunitense. E non solo della televisione. Anche se nella seconda parte Jim Henson Idea Man si perde un po’ tra le questioni personali di Henson e famiglia, Howard riesce a restituirci la portata di un artista dal notevole potenziale immaginifico: i magnifici Muppets e Sesame Street, certo, ma anche la svolta estetica e tecnica di Dark Crystal (1982) e Labyrinth – Dove tutto è possibile (1986), film che avrebbero meritato una fortuna più immediata e non solo la gloria futura. Howard riesce anche a restituirci la dimensione pionieristica della scatola magica degli anni Cinquanta\Sessanta, il gusto della costante sperimentazione, della passione, della fertile follia. Si casca invece maluccio con l’atteso Rumors del trio Guy Maddin, Evan Johnson & Galen Johnson. Forse l’asticella del dittico Accidence & The Green Fog era davvero troppo alta, vedremo in futuro. Qui si ride per un po’, ma già con un po’ di preoccupazione. I tre non ci risparmiano una satira di grana grossa, compresa l’ennesima burla nei confronti dei rappresentanti politici del Bel Paese (colpa nostra, non loro…), ma poi si arriva a poco o niente. Più niente che poco. La mente corre a Monster X Strikes Back: Attack the G8 Summit! e il confronto è schiacciante. Nonostante il cast, capitanato da Cate Blanchett (ma ci sono anche Alicia Vikander, Charles Dance, Zlatko Burić, Denis Ménochet e persino Rolando Ravello), la caricatura del G7 non basta, si impantana dopo una quindicina di minuti e sostanzialmente resta lì. Peccato. [e.a.]

Sabato 18 maggio 2024
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22.56
Si può catalizzare l’attenzione di cinefili e addetti ai lavori all’interno del rutilare del Festival di Cannes anche se si porta un lavoro di “appena” quaranta minuti di durata? Sì, se si è Leos Carax. L’ex enfant prodige del cinema francese approda in salle Debussy con C’est pas moi, in cui parla di sé e della politica, del cinema e di Hitler, di Godard e David Bowie, dei cattivi padri e di sua figlia. Il tutto con uno stile apertamente godardiano ma non citazionista, e una libertà espressiva che è arduo rintracciare nei registi d’oggi. Ma dopotutto, come dice lui stesso, Carax è un uomo del Ventesimo secolo… [r.m.]

22.25
Sempre in concorso, subito prima del film di Audiard, è arrivato Jia Zhangke con Feng liu yi dai (Caught by the Tides), suo nuovo lungometraggio che si muove nella medesima direzione di molti degli ultimi lavori, interessati a riflettere sulla memoria capitalista della Cina moderna e sugli smottamenti dell’ultimo ventennio. Per rendere meglio l’idea qui Jia articola il discorso costruendo un percorso all’interno del suo stesso cinema e delle modalità di ripresa, visto che il film è stato girato nell’arco di un ventennio. Ecco dunque la Cina di Unknown Pleasures, di Dong, di Still Life, con evidenti rimandi anche a Al di là delle montagne. Memoria della Storia, memoria degli affetti, memoria del cinema stesso. Stordente, a tratti quasi sperimentale, e dolente. [r.m.]

19.25
Tra i film del concorso esplode sullo schermo della Debussy la prorompente vitalità espressiva di Emilia Pérez, il nuovo film di Jacques Audiard che si lancia follemente in un musical spagnolo ambientato in Messico. Idee a profusione, una grandissima capacità di giocare con i codici del mélo, un cast attoriale in forma smagliante. [r.m.]

16.25
Tra i cult d’antan di Cannes Classics c’è anche Gilda di Charles Vidor, che torna sulla Croisette dopo essere stato in concorso a Cannes nella prima edizione del 1946. L’entrata in scena di Rita Hayworth, Put the Blame on Mame, Amado Mio, i vestiti reati da Jean Louis per una delle stelle più splendenti della Hollywood degli anni d’oro e via discorrendo: sono passati quasi ottant’anni, ma a suo modo il Cinema concede immortalità ed eterna giovinezza. [e.a.]

11.40
Siamo da anni appassionati cultori della cinematografia rumena, che da almeno vent’anni domina lo scenario europeo grazie a un nugolo di autori preziosissimo e raro. Nel vedere Trei kilometri până la capătul lumii, vale a dire Three Kilometres to the End of the World, ci si può però rendere conto con plastica nettezza di come l’imitazione di un modello non possa elevarsi allo stesso livello di ciò che si tenta di replicare. Ecco dunque che la storia diretta da Emanuel Parvu, con la sua rappresentazione delle arretratezze culturali, gli esorcismi praticati dai preti, l’omofobia, e la messa in scena di un piccolo sistema socio-politico si muova senza ostacoli ma resti a ben vedere privo di quella potenza espressiva tipica del cinema di Mungiu, Puiu, Netzer e via discorrendo. Un lavoro educato da un punto di vista scolastico, questo sì. [r.m.]

09.40
Il punto di partenza di Twilight of the Warriors: Walled In di Soi Cheang è il manhua (fumetto) City of Darkness. Insomma, a due passi da un manga. Ma se alcune derivazioni nipponiche sono evidenti, il cuore pulsante del film è totalmente hongkonghese, in primis nella singolare ambientazione. L’abnorme insieme di edifici, una sorta di cittadella brulicante e cadente, è il riflesso di una Hong Kong oramai sepolta dalle sabbie del tempo, spazzata via nel corso degli anni Ottanta e Novanta dall’incessante lavoro dei cantieri. Da lì, in fin dei conti, è venuto fuori Blade Runner. Spettacolare, prevedibile ma narrativamente compatto, il film è l’ennesima dimostrazione del talento di Soi Cheang, decisamente a proprio agio con ritmi alti, caos, arti marziali e via discorrendo. Vabbè, ma è il regista di Horror Hotline… Big Head Monster, questa per lui è una passeggiata di salute. [e.a.]

08.30
Con rigore e metodo, un po’ alla Wiseman, Sergei Loznitsa procede nel suo percorso di osservazione della Storia – di ieri, di oggi, persino di domani. Che sia un lavoro documentario, d’archivio o una fiction, la sostanza non cambia e tutto è connesso, discorsivo, coerente. Con L’Invasion siamo nell’Ucraina di oggi, in una nazione attraversata a tutti i livelli dalla guerra, dalla propaganda, dalla morte e distruzione; siamo in Ucraina oggi, ma potrebbe essere un altro posto e un altro tempo. Perché, in fin dei conti, Loznitsa ci sta raccontando tutto quello che è stato, è e sarà: la distruzione (The Natural History of Destruction), la resa dei conti finale (The Kiev Trial), le celebrazioni (Victory Day), la memoria di quello che è stato (Austerlitz). Il cinema di Loznitsa è una lente d’ingrandimento, un monito, una macchina del tempo. [e.a.]

Venerdì 17 maggio 2024
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20.56
Jean-Luc Godard, seduto sul suo letto con la camicia aperta, sceglie quali sono le ultime parole da pronunciare di fronte a una videocamera. Il giorno dopo andrà volontariamente a morire. Si resta spiazzati, stravolti, in qualche modo brutalizzati da Scénarios, il nuovo lavoro post-mortem di JLG, presenato in Cannes Classics insieme a Exposé du film annonce du film « Scénario » (in totale i due brevi film non arrivano all’ora di durata); c’è una grandezza teorica ed espositiva che non si è mai davvero pronti ad abbandonare, ben consci però oramai che quel momento deve giungere. C’è l’immagine immortale, e il deperimento del corpo umano – il secondo titolo, come immaginabile da chi conosce l’opera di Godard, vede il cineasta nel 2021 discutere di ciò che dovrà diventare Scénario, e che mai sarà – a fare da contraltare. C’è la memoria stessa degli spettatori che spinge a piangere, anche sorvolando su quello che non può non essere anche considerato “sfruttamento” del pensiero di una persona che più non è. Si esce stravolti, come se il tempo dovesse annullarsi (ed ecco che si torna anche a Megalopolis), per poi risvegliarsi e rendersi conto che JLG è morto, anche se i cavalli non sono mai davvero cavalli. [r.m.]

20.26
Dopo la splendida utopia rivolta a una nuova e migliore umanità portata in scena in Povere creature! il regista greco Yorgos Lanthimos torna ai temi che più hanno contraddistinto i suoi lavori precedenti: i rapporti di potere, la sopraffazione nelle relazioni, l’impossibilità di essere liberi e l’ineffabilità della libertà stessa. Povere creature! non sembra però passato invano e in Kinds of Kindness c’è una maggior leggiadria, una maturata lievità, pur nel riaffacciarsi di un ghignante pessimismo. Scritto con il sodale Efthymis Filippou, che quindi riappare dopo la parentesi del Leone d’Oro, il film in Concorso sulla Croisette è diviso in tre episodi, tutti interpretati dagli stessi attori (Emma Stone, Willem Dafoe, Jesse Plemons) ma in ruoli differenti e tutti incentrati sul sacrificio, l’obbedienza, la speranza di redenzione e il desiderio di essere accettati dalla società o amati. Se le sezioni non sono narrativamente consequenziali, lo sono però concettualmente e strutturalmente, il che rende il lavoro di Lanthimos una piccola “antologia” molto puntuale e netta. [e.b.]

15.20
Facciamo un passo indietro, torniamo a ieri pomeriggio\sera, torniamo a Cannes Classics. Abbiamo chiuso la giornata col documentario Walking in the Movies di Kim Lyang dedicato a Kim Dong-ho, fondatore del Festival di Busan e figura centrale del cinema sudcoreano contemporaneo. Amatoriale ma quantomeno appassionato, infarcito di teste parlanti, il documentario di Kim è un oggetto poco cinematografico a uso e consumo interno, tra Cannes e Busan. Qualche nome eccellente (Im Kwon-taek, Lee Chang-dong…) e la dimostrazione pratica di quanto sia un abile tessitore (ma anche un cinefilo) l’inossidabile Thierry Frémaux. Sempre nelle sezione Cannes Classics, nel pomeriggio, è passato in versione rimessa a lucido E Johnny prese il fucile, opera prima e ultima dello sceneggiatore Dalton Trumbo. Al di là della singolarità della pellicola, dell’evidente antifascismo, antimilitarismo e via discorrendo, vale la pena rimarcare la presenza di Donald Sutherland e Jason Robards, entrambi ovviamente magnifici, e quella meno evidente ma preziosa di Diane Varsi (l’ultima infermiera), in una delle sue rare apparizioni sullo schermo – era lei, giovane e promettente, la protagonista de I peccatori di Peyton. [e.a.]

14.52
Stamattina abbiamo recuperato Bird, il nuovo lungometraggio di Andrea Arnold in corsa per la Palma d’Oro. Romanzo di formazione a metà tra realismo squat e fiaba, è un racconto dolcissimo, articolato, dominato da una attitudine post-punk vitalissima. Girato in 35mm, è un’opera tra le più lucenti avvistate finora sulla Croisette, grazie anche alla presenza scenica della giovanissima Nykiya Adams, capofila di un cast rinforzato poi dagli splendidi Barry Keoghan e Franz Rogowski. [r.m.]

11.30
In salle Varda si è inaugurata la nostra giornata con il nuovo lavoro di Lou Ye dal titolo programmatico Unfinished Film. L’idea del film “maledetto” che è impossibile terminare – dopo uno iato di ben dieci anni lo si riprende proprio quando esplode a Wuhan l’epidemia – è affascinante, ma malauguratamente You decide di abbandonarla ben presto al suo destino, per andare in direzione di un inno alla resilienza che non manca qua e là di un po’ di pornografia del dolore. E la crasi tra riprese ex novo e repertorio del 2020 è in tutta franchezza rivedibile. Nel corposo fuori concorso del festival. [r.m.]

Giovedì 16 maggio 2024
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21.30
Inutile starci a girare intorno: Megalopolis è il film attorno al quale si sono concentrate le attese più spasmodiche per quel che concerne la settantasettesima edizione del Festival. Ed è arrivato il momento in cui, terminato l’embargo, qualcosa si può pensare di dire a riguardo. Qualcosa di frammentario, si chiaro, perché si tratta di un’opera estremamente densa, stratificata anche e soprattutto quando l’immagine sembra farsi più superficiale. Il film della vita, ha detto lo stesso Francis Ford Coppola, e sarebbe strano pensare il contrario. “Una fiaba”, recita il sottotitolo che appare sullo schermo. Una fiaba, e un’utopia, come quello del cinema stesso: l’utopia di un cinema che possa spingere l’essere umano più in là, oltre questo cascame capitalista, questo mondo inabissatosi nelle proprie mestizie, nella propria burocrazia, nei giochi di potere. Megalopolis esplode letteralmente sullo schermo, come una supernova, e si porta via tutto, sommerso egli stesso dai detriti di quella mediocrità che mette alla berlina con un ghigno sardonico. C’è ovviamente chi ha fischiato, e chi al termine della proiezione ha osato profferire inutili parole come “mi aspettavo meglio”. È gente, questa, per cui non ha più senso fare cinema. Ha senso magari fare narrazione, o seguire una logica. Ma non fare cinema. E Francis Ford Coppola, che oggi si è dovuto beccare anche le ingiurie per comportamento considerato “inappropriato” sul set, fa, ha sempre fatto, e sempre farà cinema. [r.m.]

16.17
In concorso nella sezione Un Certain Regard, On Becoming a Guinea Fowl è ambientato in Zambia, paese natale della regista Rungano Nyoni, che da molti anni vive però nel Regno Unito dove è cresciuta e ha studiato. Se il suo debutto I am not a Witch aveva conquistato un Bafta nel 2018, il nuovo film è una produzione internazionale (BBC film, Element Pictures, Fremantle e A24), perfetto esempio di “colonizzazione” cinematografica, che racconta la sopraffazione delle donne in Zambia, appunto, ovvero il patriarcato indiscutibile ma nella classe media (e alta, se si guarda alla protagonista). Incipit della vicenda è la morte improvvisa dello “zio Fred” il quale, si scoprirà strada facendo, ha abusato sessualmente di parecchie fanciulle della famiglia quando erano ragazzine. Tutti sapevano, specie le madri, nessuno ha mosso un dito. Ma nel lungo funerale, che ricorda la “festa di famiglia” di Festen di Vinterberg, l’orco forse non sarà seppellito con tutti gli onori. Brillante la sequenza finale. [e.b.]

15.50
Indubbiamente notevole dal punto di vista produttivo, Furiosa: A Mad Max Saga rimescola le carte di una saga forse troppo tirata per le lunghe, rimessa in piedi da un capitolo inatteso e folgorante, adesso inseguito un po’ maldestramente. Si scherza, anche troppo, si torna alle origini un po’ balbettanti del personaggio, si smarrisce la linearità del precedente e rifondante capitolo. Spettacolare, roboante, ma già visto, masticato e rimasticato. In fin dei conti, Miller ha sempre fatto così, un po’ come gli pare. Hemsworth gigioneggia, Anya Taylor-Joy la può prendere solo seriamente. Difficile possa diventare un nuovo cult… [e.a.]

13.56
In Un certain regard stamattina si è visto I dannati, nuovo film per Roberto Minervini e sua prima incursione nel cinema di “finzione” propriamente inteso, per quanto il termine sia da prendere con le molle quando si ha a che fare con il regista marchigiano da anni trapiantato negli Stati Uniti. Un’ambientazione western per una riflessione che torna comunque al “documentario di creazione”, e che ragiona sull’umano, sull’attesa, sul tempo perduto e mai ritrovabile. [e.b.]

12.20
Di Faye, documentario diretto da Laurent Bouzereau e presentato ovviamente a Cannes Classics, ci resterà soprattutto la presentazione, con l’entrata in sala Varda da star navigata di Faye Dunaway, tra le icone della New Hollywood. Il film, indubbiamente impreziosito dalle sequenze dei titoli più noti interpretati dalla Dunaway (basterebbe il finale di Gangster Story, aka Bonnie and Clyde), non supera la forma base dei documentari HBO, con una buona confezione, gustoso materiale d’archivio ma anche tante, troppe teste parlanti, testimonianze che spingono in avanti una narrazione fin troppo lineare, incapace di soffermarsi davvero sugli aspetti più interessanti e soprattutto di trovare stimolanti chiavi di lettura. [e.a.]

10.52
Tornando invece a ieri sera, la prima giornata con le visioni del concorso si è conclusa ben dopo mezzanotte con Pigen med nålen (vale a dire The Girl with the Needle), coproduzione danese-svedese-polacca diretta da Magnus von Horn. Altissime le ambizioni, quello di un racconto storico – basato su una storia realmente accaduta – che dovrebbe allargare il discorso alla visione della donna e della sua libertà, disperse in una messa in scena tronfia, ridondante, e che nasconde dietro picchi di cinefilia la propria effettiva mancanza di consistenza. [e.b.]

10.47
Alla Quinzaine des cinéastes è stato presentato questa mattina il nuovo film dell’argentino Hernán Rosselli, Algo viejo, algo nuevo, algo prestado: un racconto sul passato, sull’eredità che volente o nolente portiamo addosso e su un futuro possibile. Rosselli si diverte a maneggiare materiali tra loro estremamente eterogenei, nel tentativo di raccontare il vero attraverso il finto. Non privo di fascino. [e.b.]

Mercoledì 15 maggio 2024
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18.40
Il primo titolo a essere presentato in concorso è Diamant brut, esordio alla regia della quarantenne Agathe Riedinger che per l’occasione rielabora l’idea alla base di un suo cortometraggio del 2017, J’attends Jupiter: una ragazza ventenne, che cerca di proporsi come influencer, potrebbe essere scelta per partecipare a un Reality molto seguito, Miracle Island. Riedinger non sfugge alle dinamiche dell’arthouse contemporaneo, pur dimostrando di sapersi destreggiare bene in alcune occasioni, e segue un canone espressivo e narrativo abbastanza semplice. Forse troppo fragile per un tritacarne come il concorso di Cannes. [r.m.]

17.34
Prosegue il nostro percorso all’interno della sfaccettata selezione di Cannes Classics, come sempre foriera di titoli tra l’importante e il fondamentale. Dopo Gance e Kurosawa è difficile fare meglio, ma non si vive di sole pietre miliari. Premesso che la soluzione Classics\Classici non potrà MAI sostituire una seria retrospettiva, siamo appena usciti da un recupero\riscoperta di valore, ovvero Tasio di Montxo Armendáriz. Il regista basco ha presentato la pellicola, sottolineando l’importanza culturale e umana di questi recuperi, dell’eredità di certe opere, forse oggi ancor più significative di allora. Sincero, cristallino, Tasio fotografava già nel 1984 una realtà agli sgoccioli, oggi purtroppo lontanissima. La montagna, la natura, la vita semplice, i rapporti umani. Non è passato un secolo, ma è comunque quello scorso. Riusciremo a tornare indietro? [e.a.]

15.32
Presentato nell’ambito de La Semaine de la Critique, Simon de la montaña è il peculiare racconto di formazione di un ventenne che fa di tutto per ottenere una certificazione pubblica di disabilità. Con uno stile intimo e ribaltando molti luoghi comuni sulla materia, il regista Federico Luis (argentino, classe 1990, al proprio esordio nel lungometraggio) mostra il proprio protagonista (Simon, interpretato da Lorenzo Ferro) a proprio agio in mezzo ad adolescenti e ragazzi con varie difficoltà e del tutto refrattario a trovare un proprio spazio e soprattutto il proprio ruolo in una società a cui non desidera appartenere. Attraverso una narrazione sobria ma capace di improvvise intensità, il film attraverso la giovinezza si interroga su cosa sia la “normalità” in un Millennio in cui tutto è sottosopra e la fragilità sembra il tratto dominante anche per gli adulti. [e.b.]

13.22
Con ancora negli occhi i riflessi magnifici della prima parte di Napoléon di Abel Gance, rieccoci nella sala Debussy ad ammirare la versione restaurata de I sette samurai di Kurosawa. Ovviamente meraviglioso, rimesso a nuovo e tutto quel che segue, ma a impreziosire ulteriormente l’evento è salito sul palco Hirokazu Koreeda. Il regista nipponico, davvero amabile, si è portato una sua cassetta vhs del capolavoro kurosawiano che da giovane cinefilo avevo abbellito con immagini ritagliate. Lo facevamo anche noi. Lacrimuccia. [e.a.]

Martedì 14 maggio 2024
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23.25
Con gli occhi ancora ricolmi dello strapotere assoluto di Abel Gance abbiamo raggiunto la salle Bazin per la proiezione stampa di Le Deuxième Acte, nuovo lavoro di Quentin Dupieux scelto come titolo d’apertura dell’intera settantasettesima edizione. Poco meno di un’ora e mezza del nonsense tipico del regista parigino, in questo caso teso a una riflessione sulla realtà e sull’Intelligenza Artificiale. Divertente, un po’ leggerino, ma con delle idee da condividere e soprattutto un cast in forma straordinaria composto in ordine alfabetico da Louis Garrel, Vincent Lindon, Raphaël Quenard, e Léa Seydoux – più, in un ruolo solo all’apparenza marginale – Manuel Guillot. Nulla di indimenticabile, ma si sono senza dubbio viste aperture peggiori qui sulla Croisette. [r.m.]

22.31
Cosa significa trovarsi di fronte alla magnificenza? Forse per averne un’idea bastava presenziare alla proiezione in salle Debussy della prima parte del Napoléon di Abel Gance, presentato nella versione restaurata dalla Cinémathèque di ben sette ore, quella in un certo qual modo definitiva. Non si scopre certo né qui né ora l’imponenza del capolavoro di Gance, ma trovarselo davanti agli occhi sul grande schermo, in una versione mai vista prima, ha prodotto un bel tutto al cuore, e soprattutto rischia di ridimensionare praticamente tutto quel che vedremo nei prossimi giorni sulla Croisette (con l’eccezione di un solo titolo, forse… ma ci torneremo). La perfezione dell’arte, del suo continuo stupeficio, della sua voglia di indagare l’umano, e la Storia. Esperienza indimenticabile. [r.m.]

10.45
La mattina del primo vero e proprio giorno festivaliero rivela nubi all’orizzonte, con la speranza che non si tratti di foschi presagi anche per gli accreditati. Battute a parte ci si prepara per la prima proiezione: subito dopo pranzo ci attende la prima parte del restauro di Napoléon di Abel Gance. Tre ore e mezza di immensità. Il modo migliore per iniziare. [r.m.]

Lunedì 13 maggio 2024
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21.43
Forse non era mai accaduto, in tante edizioni seguite da Quinlan, di inaugurare il minuto per minuto dalla Croisette nientepopodimeno che il lunedì, un giorno prima delle prime proiezioni. La città ci ha accolto con una bella giornata di sole (ma il meteo per domani e i prossimi giorni non promette nulla di buono), qualche biglietto preso e qualche biglietto perso, e la solita baraonda umana che invade la zona attorno al Palais. Come si suol dire: nulla di nuovo sul fronte occidentale… [r.m.]

Info
Il sito ufficiale del Festival di Cannes 2024.

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