Venezia 2019 – Minuto per minuto

Venezia 2019 – Minuto per minuto

Dal primo all’ultimo giorno della Mostra di Venezia 2019, tra proiezioni stampa, aria condizionata, code, film, sale, accreditati, colpi di fulmine e delusioni lancinanti: l’appuntamento con il Minuto per minuto, cronaca festivaliera dal Lido con aggiornamenti quotidiani, a qualsiasi ora del giorno. Più o meno…

Concorso, Fuori Concorso, Orizzonti, Settimana della Critica, Giornate degli Autori, Sconfini, Venezia Classici e via discorrendo. Cercheremo di raccontarvi le giornate alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, in corso dal 28 agosto al 7 settembre. Buona lettura.

Sabato 7 settembre 2019
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20.30
Ed eccoci all’ultimo atto. I premi e i Leoni, in primis il Leone d’oro.
Leone d’oro: Joker di Todd Phillips
Gran Premio della Giuria: L’ufficiale e la spia di Roman Polanski
Leone d’argento per la miglior regia: Roy Andersson per About Endlessness
Coppa Volpi per la miglior attrice: Ariane Ascaride per Gloria Mundi di Robert Guédiguian
Coppa Volpi per il miglior attore: Luca Marinelli per Martin Eden di Pietro Marcello
Premio migliore sceneggiatura: Yonfan per No. 7 Cherry Lane
Premio Speciale della Giuria: La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco
Premio Marcello Mastroianni: Toby Wallace per Babyteeth di Shannon Murphy
Premio Orizzonti per il miglior film: Atlantis di Valentyn Vasyanovych
Premio Orizzonti per la migliore regia: Théo Court per Blanco en Blanco
Premio Speciale della Giuria Orizzonti: Verdict di Raymund Ribay Gutierrez
Premio Orizzonti per la migliore attrice: Marta Nieto per Madre di Rodrigo Sogoroyen
Premio Orizzonti per il miglior attore: Sami Bouajila per Bik Eneich – Un fils di Mehdi M. Barsaoui
Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura: Revenir di Jessica Palud
Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio: Darling di Saim Sadiq
Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis: You Will Die at 20 di Amjad Abu Alala
Miglior classico restaurato: Estasi di Gustav Machatý
Miglior documentario sul cinema: Babenco – Tell Me When I Die di Bárbara Paz
Migliore VR: The Key di Céline Tricart
Miglior Storia VR: Daughters of Chibok di Joel Kachi Benson
Miglior Esperienza VR: A Linha di Ricardo Laganaro
A seguire, proiezioni dei vincitori, per eventuali recuperi o seconde visioni. Al prossimo anno. [r.m.]

18.54
Mentre tra gridolini perfino in sala stampa e folla che si assiepa accanto al tappeto rosso si attende l’inizio della cerimonia di premiazione, torniamo con la mente allo spettacolo di luci, musica e politica svoltosi in sala Darsena: Roger Waters – Us + Them è un film concerto clamoroso, che cristallizza il tempo nel mostrare un’esibizione a Rio dell’ex bassista e leader dei Pink Floyd. Un concerto che si muove proprio attorno alle musiche della band, tra Dark Side of the Moon e Animals – con un brevissimo assaggio di The Wall, per parlare del fascismo odierno, dei muri alzati per difendere i confini, dell’umiliazione degli ultimi. Una visione corroborante. [r.m.]

15.46
A proposito di premi (che novità, eh?), anche FEDIC – Federazione Italiana dei Cineclub – ha reso noti i suoi. La giuria, presieduta da Ferruccio Gard e composta da Marco Asunis, Ugo Baistrocchi, Alfredo Baldi, Nino Battaglia, Carlotta Bruschi, Giuliano Gallini, Carlo Gentile, Franco Mariotti, Paolo Micalizzi, Lilia Ricci, Nevina Satta, Betty Zanotelli e Giancarlo Zappoli, ha attribuito il Premio FEDIC destinato “all’opera che meglio riflette l’autonomia creativa e la libertà espressiva dell’autore” a Sole di Carlo Sironi. Ha poi ricevuto una menzione anche Nevia di Nunzia De Stefano, mentre il miglior cortometraggio (giuria indipendente composta da Alessandro Cuk, Laura Forcella Iascone, Antonella Santarelli e Luciano Volpi sotto l’egida del presidente Alfredo Baldi) è risultato essere Supereroi senza superpoteri di Beatrice Baldacci. [r.m.]

15.14
Con un film classico, fordiano, essenziale, il regista colombiano Ciro Guerra si destreggia con un cast internazionale (Johnny Depp, Robert Pattinson e soprattutto il protagonista Mark Rylance) e con l’adattamento per lo schermo di un importante romanzo del premio Nobel J. M. Coetzee. Waiting for the Barbarians conferma la capacità di Guerra nel realizzare opere di grande nitore, parabole cristalline e racconti popolari su temi dall’afflato universale. In questo caso la creazione del nemico, necessaria alla guerra e al desiderio di potere degli “Imperi” nella Storia. In Concorso a Venezia 76. [e.b.]

15.10
Nel rutilare degli ultimi giorni, in cui la stanchezza la fa nettamente da padrona, ci eravamo dimenticati di scrivere qualcosa su La mafia non è più quella di una volta, il nuovo clamoroso film di Franco Maresco, che per la prima volta si trova a concorrere per l’oro. Un’opera che ragiona sul concetto di spettacolo, di finzione, e di impossibilità di confrontarsi con il reale senza svelarne l’anima grottesca, post-umana, a tratti deforme e disgustosa. Un viaggio nelle radici archetipiche dell’essere “palermitano”, condotto in compagnia di Ciccio Mira e Letizia Battaglia. Sontuoso. La giuria gli renderà il giusto merito? [r.m.]

12.29
Continuano i premi minori, ed Ema di Pablo Larraín si porta a casa sia il riconoscimento dei giovani dell’Arca sia il premio UNIMED per la diversità culturale e la libertà di espressione artistica. Un anticipo di ciò che accadrà stasera, dove per quasi tutti il film è dato tra i favoriti nella corsa al Leone? [r.m.]

 Venerdì 6 settembre 2019
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19.48
Piove. I film iniziano a scarseggiare, i premi iniziano ad arrivare.
Ecco quelli della Settimana Internazionale della Critica, ovvero la SIC:
Gran Premio Settimana Internazionale della Critica: All This Victory (Jeedar el sot) di Ahmad Ghossein (Libano, Francia, Qatar).
Premio del Pubblico: All This Victory (Jeedar el sot) di Ahmad Ghossein (Libano, Francia, Qatar).
Premio Circolo del Cinema di Verona: Scales (Sayidat al bahr) di Shahad Ameen (Emirati Arabi, Iraq, Arabia Saudita).
Premio Mario Serandrei – Hotel Saturnia & International per il Miglior Contributo Tecnico: All This Victory (Jeedar el sot) di Ahmad Ghossein (Libano, Francia, Qatar)
Quindi i premi della quarta edizione SIC@SIC (Short Italian Cinema @ Settimana Internazionale della Critica):
Premio al Miglior Cortometraggio: Veronica non sa fumare di Chiara Marotta (Italia).
Premio alla Migliore Regia: Il nostro tempo di Veronica Spedicati (Italia).
Premio al Miglior Contributo Tecnico: Los oceanos son los verdaderos continentes di Tommaso Santambrogio (Italia).
Infine, segnaliamo il Queer Lion Award a El Príncipe di Sebastian Muñoz, presentato in Concorso alla Settimana Internazionale della Critica. [e.a.]

17.38
Le lacrime del popolo e le lacrime del regime. Sergei Loznitsa continua a lavorare sulla mappatura storico-politica, sui materiali d’archivio, sui grandi eventi, sulla memoria: State Funeral è un tassello ulteriore, prezioso, un documento limpidissimo nella sua esposizione. Anche nelle ellissi. A Loznitsa bastano pochi numeri per smontare il mastodontico corteo funebre e tutta la propaganda che si porta dietro, ma non è una lezione didascalica, è semplicemente Storia. State Funeral è un film inevitabilmente imponente, fluviale, e ancora una volta il popolo è (co)protagonista, con le sue lacrime. Vere, sincere. Uno dei tanti punti di partenza, analisi ed elaborazione di un evento, di una dittatura e di un periodo storico. Poi cambierà tutto, per non cambiare. [e.a.]

17.06
Continuano i premi delle sezioni collaterali. Il GdA Director’s Award, riconoscimento principale delle Giornate degli Autori, se lo aggiudica La Llorona, il nuovo film di Jayro Bustamante. L’opera è stata premiata dalla giuria presieduta da Karim Aïnouz e composta dai membri del progetto 28 Times Cinema, con ventotto giovani aspiranti critici provenienti dai paesi della UE. [r.m.]

12.33
Come ogni anno, molto probabilmente grazie alla presenza nel comitato di selezione di Giulia D’Agnolo Vallan, esperta di questioni americane, la Mostra trova un thriller-action statunitense robusto e fuori dalle regole del mainstream: l’anno scorso era toccato a Dragged Across Concrete, quest’anno a Mosul, opera prima dello sceneggiatore Matthew Michael Carnahan (The Kingdom, State of Play), prodotto dai fratelli Russo (vale a dire i registi degli Avengers). Un film dunque totalmente americano, ma interpretato da attori iracheni, impegnati a interpretare dei soldati in disperata e ferocissima lotta contro l’ISIS. Asciutto, emozionante, spettacolare, violento, Mosul ruota, oltre che sul buddy movie, anche sull’idea di poter ritrovare un senso del vivere sociale, del poter finalmente ricostruire ciò che la guerra ha distrutto. Non solo gli edifici, ma anche gli affetti. [a.a.]

12.21
In attesa di poter parlare del nuovo film di Maresco, presentato in mattinata alla stampa, torniamo alla giornata di ieri, quando sono stati mostrati i primi due episodi della serie TV ZeroZeroZero, diretta per Sky da Stefano Sollima e presentata fuori concorso alla Mostra del Cinema. Ora, bisogna dire che sta cominciando a diventare assurda questa insistenza di voler mettere in programmazione delle serie tv. Sia chiaro, lungi da noi avere una posizione di retroguardia tale da rifiutare in toto collocazioni siffatte, il problema è sceglierle in questo modo, per pura convenienza. E ci riferiamo in particolare alle serie italiane, o almeno con regista italiano. Aveva avuto senso qualche anno fa prendere The Young Pope di Sorrentino, perché quel passo rappresentava anche un momento di svolta nella carriera del regista napoletano. Meno senso ci sembrava avesse avuto lo scorso anno la scelta di programmare L’amica geniale di Saverio Costanzo, che comunque è un regista che ha una storia qui al festival. Ancora meno ce l’ha insistere ancora con Sorrentino e con il suo The New Pope, ma soprattutto appare sbagliata la scelta di mostrare proprio ZeroZeroZero, che è una serie senza alcuna velleità autoriale – nonostante l’origine savianesca – e che non sembra di molto superiore alla media della produzione televisiva italiana. È un prodotto dignitoso, sia chiaro, ma al di là di questo non va, e in particolare è molto meccanico negli sviluppi narrativi e non ha per nulla verve dal punto di vista spettacolare. Giusto dunque dare il necessario risalto a qualche serie, ma che almeno lo si faccia quando lo merita. [a.a.]

 Giovedì 5 settembre 2019
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18.17
Mancano ancora due giorni alla fine della Mostra, ma si inizia con i premi. Il Queer Lion Award se lo aggiudica El Principe, l’opera prima di Sebastian Muñoz selezionata all’interno della Settimana Internazionale della Critica. Un premio senza dubbio meritato. [r.m.]

17.50
C’è ben poco da salvare invece purtroppo in Nevia, l’esordio alla regia di Nunzia De Stefano in concorso in Orizzonti; solita ambientazione napoletana, solito disagio raccontato senza sporcarsi troppo le mani, solita retorica sull’infanzia e l’adolescenza. Di vero, nonostante la pretesa autobiografica della regista (che da bambina si trovò a vivere nel campo di Ponticelli, come la protagonista del film), si respira molto poco. Brava, in ogni caso, la giovanissima esordiente Virginia Apicella. [r.m.]

17.02
Davvero notevole il restauro in digitale che la Cineteca Nazionale ha fatto de La commare secca, il primo lungometraggio diretto nel 1962 da un Bernardo Bertolucci allora ventunenne. Se la scrittura di Pier Paolo Pasolini (che il film avrebbe dovuto in un primo momento anche dirigerlo, prima di “passarlo” al suo dirimpettaio sul pianerottolo di casa) è percepibile, già si avverte lo scarto di uno sguardo non solo giovane ma interessato a una propria visione dell’umanità. Unico film fortemente “romano” di Bertolucci La commare secca è un affascinante noir, un po’ programmatico ma perfettamente in grado di rendere lo spaesamento di un mondo arcaico come quello romanesco di fronte all’incedere del “moderno” – il ponte Marconi era stato costruito per le Olimpiadi del 1960, e il quartiere San Paolo si era sviluppato nel medesimo periodo. [r.m.]

16.56
Oggi la Settimana della Critica ha presentato il suo ultimo film in concorso (domani toccherà alla chiusura con Sanctorum di Joshua Gil): Parthenon del lituano Mantas Kvedaravičius è un’opera potentissima, visionaria e in grado di ragionare sul corpo umano e sui luoghi che attraversa come appiglio per la Storia e la memoria. Un lavoro ostico e stratificato, ma denso e profondamente cinematografico. Una boccata d’ossigeno. [r.m.]

14.03
Diretto dalla figlia Carolina e da Didi Gnocchi, Citizen Rosi è un toccante documentario dedicato a Francesco Rosi, indimenticato maestro del nostro cinema. Il film è pieno di ingenuità, dall’utilizzo della voice over da parte della figlia alla volontà di tornare su alcuni dei temi affrontati nel corso della filmografia dell’autore di Le mani sulla città (la speculazione edilizia, la criminalità organizzata, la droga), ma si regge grazie a un’innegabile sincerità e grazie a un montaggio che mette insieme film e repertorio (tra cui alcune notevoli interviste allo stesso regista) in maniera in fin dei conti efficace, e persino asciutta, nonostante la lunga durata (130 minuti). [a.a.]

Mercoledì 4 settembre 2019
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23.05
La prevedibilità è forse il tallone d’Achille di Psychosia, opera prima della danese Marie Grahtø Sørensen, presentata alla Settima Internazionale della Critica (SIC). E così, alla lunga, gli indizi disseminati e le ricercate specularità perdono forza narrativa, avvicinandosi pericolosamente al mero esercizio di stile, allo sfoggio di una messa in scena indubbiamente accurata e con più di una zampata visiva. [e.a.]

22.50
Storia d’amore e di malattia. Si possono far danni – qualcuno penserà malignamente a Love Story di Arthur Hiller, una delle chiavi di volta del melodramma degli anni Settanta, con tanto di indigeribile sequel, il fortunatamente dimenticato Oliver’s Story. Ecco, sarebbe un peccato liquidare frettolosamente l’opera prima dell’australiana Shannon Murphy, Babyteeth, una delle poche soprese del concorso veneziano: la Murphy e la sceneggiatrice Rita Kalnejais riescono a comporre un mosaico leggiadro e al contempo drammatico, scandagliando il piccolo universo di una ragazzina alle prese con l’amore, la vita, la morte. Un mosaico che è fatto di musica e colori, di pianti e battute sagaci, di droghe e medicinali, in una continua altalena tra speranza e disperata impotenza. Sorretto da una vivace e solida messa in scena e da ottimi interpreti (Eliza Scanlen, Toby Wallace, Essie Davis e Ben Mendelsohn), Babyteeth rimette a posto i tasselli di una famiglia funzionale/disfunzionale senza scivolare mai nel patetico, senza perdere la misura e la necessaria delicatezza. [e.a.]

19.36
Nel mettere immediatamente a confronto recitazione e spionaggio, Lou Ye, autore di Saturday Fiction, film cinese in concorso oggi qui al Lido, sembra volerci promettere chissà quale riflessione ambiziosa sull’arte della rappresentazione e della messa in scena, mentre invece finisce per incanalare ben presto il suo film lungo i binari di un thriller ostinatamente poco avvincente e punitivo, in cui tutte le complicazioni di personaggi e trama, tutte le ambiguità, provano vanamente a celare una sostanziale vacuità. [a.a.]

16.47
Presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 76, Beware of Children del norvegese Dag Johan Haugerud è un lungo racconto corale che prende le mosse dall’uccisione di un ragazzino per mano (involontaria…?) di una sua compagna di classe. Riflessione sulle regole, le apparenze, le parole che conformano l’educazione dei figli e le identità degli adulti, Beware of Children è un lavoro poderoso che unisce a una narrazione precisa e raffinata una consapevolezza notevole nella complessa e variegata messa in scena. Teorico, appassionante, un film di grande livello che manca forse di un tocco di fluidità. [e.b.]

14.56
In mattinata il pubblico presente in sala Perla si è imbattuto in The Long Walk (in originale Bor mi vanh chark), terzo lungometraggio della regista laotiana Mattie Do. Brillante horror che gioca con l’illusione del tempo nel raccontare la dolorosa storia di un uomo che vorrebbe tornare a quando era bambino per aiutare la madre malata a morire senza sofferenze, The Long Walk è un affascinante lavoro che si muove nel genere senza rispettarne nessuna delle regole fondamentali. Mattie Do rielabora anche il concetto di rappresentazione della povertà, sfuggendo completamente alle trappole della pornografia della miseria per addentrarsi semmai nella profondità emotiva e psicologica di un uomo che – circondato dal progresso – non sa rinunciare alla natura ancestrale in cui è cresciuto. Il rito, certo, ma anche il lutto personale. Ammaliante. [r.m.]

14.08
Ieri è stato presentato al pubblico anche Il varco, il nuovo lavoro in cui Federico Ferrone e Michele Manzolini lavorano materiale di repertorio e che è stato inserito nella sezione Sconfini. Un’opera molto ambiziosa ma anche debole, con le immagini del passato che servono solo ed esclusivamente a permettere alla narrazione (che rielabora veri diari di guerra) di procedere in avanti. Un’occasione decisamente sprecata. [r.m.]

11.10
Nuovo thriller psicologico firmato da Atom Egoyan, Guest of Honour, presentato ieri sera in concorso, contiene tutte le ossessioni tipiche della filmografia dell’autore armeno-canadese, dalla labile distinzione tra percezione e realtà ai traumi del passato, al monito per il controllo della propria prole. Ne risulta un prodotto ben confezionato ma che appare a tratti anacronistico e certo meno incisivo di altri film del celebrato autore di Exotica, Il dolce domani e Il viaggio di Felicia. [d.p.]

 

Martedì 3 settembre 2019
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18.10
È ancora in corso in Sala Grande la proiezione ufficiale di The Painted Bird, il film che Václav Marhoul ha tratto dal celeberrimo romanzo di Jerzy Kosiński, polacco trasferitosi nel 1957 a vivere negli Stati Uniti (e lì morto suicida nel 1991). Un ambizioso affresco in tempo di guerra, girato in 35mm e in bianco e nero, che punta tutto sul nitore dell’immagine dimenticandosi dell’etica, della morale, e soprattutto del concetto di “sguardo”. Ne viene fuori un lavoro un po’ programmatico e molto problematico, che invade in più occasioni il campo della pornografia della miseria. [r.m.]

18.04
Presentato tra i documentari di Venezia Classici anche Fulci for Fake, lavoro che Simone Scafidi ha dedicato al grande regista romano deceduto ventitré anni fa. Quello che può apparire a prima vista come un documentario canonico, di taglio televisivo, si ibrida con la finzione nel mettere in scena Nicola Nocella che finge di dover studiare la parte di Fulci per un biopic per il quale è stato assoldato. Il gioco wellesiano è breve e funge più da cornice, ma nel complesso funziona, come il film di Scafidi che rifugge dall’idolatria dell’immagine (ci sono solo pochissimi fotogrammi dei film di Fulci, e tutti solo da Zombi 2) e cerca di rintracciare l’uomo. Spesso riuscendoci. [r.m.]

17.58
Il film italiano presentato alla Settimana della Critica, Tony Driver, è l’esordio di Ascanio Petrini e racconta la storia incredibile di Pasquale Donatone, nato barese nel 1963 ed emigrato assieme ai genitori a Chicago nel 1972. Pasquale ha vissuto in America fino al 2012, quando è stato espulso per un reato: in 40 anni il nostro non ha mai ritenuto di dover far domanda per la cittadinanza. Pasquale è americano in tutto e per tutto, e soffre un esilio pugliese per lui incomprensibile. Film sull’appartenenza sentimentale ai luoghi, ben al di là di pezzi di carta, Tony Driver è un documentario ibrido che mette in scena l’impresa di un uomo che vuole tornare negli Usa. A casa sua. [e.b.]

15.25
Pochi secondi possono sgretolare un film? Una singola immagine ha il potere di inghiottire tutto il resto, tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento? Ci lascia un po’ così Giants Being Lonely di Grear Patterson, regista e sceneggiatore alla sua opera prima, presentata con un certo successo a Orizzonti: il misurato crescendo di questo drammatico teen movie, dal solido impianto estetico che riecheggia un po’ Van Sant e un po’ Lynch, sembra svanire in un istante, tradito dalla ridondanza dell’ultima immagine. E così, alla fine, tra le atmosfere sospese e la felicissima scelta dei protagonisti (Jack Irving e Ben Irving), tra lo scandaglio di un’apparentemente placida provincia rurale e la messa in scena di certe dinamiche sportive, continua a far capolino questa (inutile?) sottolineatura finale. Abbiamo più di un motivo per attendere l’opera seconda. [e.a.]

12.20
Torniamo per un momento a ieri, quando in serata è stato presentato al pubblico The King, nuova regia di David Michôd (Animal Kingdom, War Machine). Si tratta di un film ambiziosamente shakespeariano che Michôd ha scritto insieme all’attore e regista Joel Edgerton (australiano come il regista), il quale si ritaglia in scena il fondamentale ruolo di Falstaff. Già perché The King “riscrive” e rielabora l’Enrico IV e l’Enrico V, confrontandosi dunque non solo con il leggendario bardo ma anche – per restare al cinema – con l’Orson Welles di Falstaff e con il Laurence Olivier dell’Enrico V (solo per citare i più noti). E, incredibilmente (vista l’importanza e l’imponenza dei riferimenti), la scommessa è riuscita: il principe Hal, dedito all’alcool e riluttante ad assumere il potere, diventa nelle mani di Michôd una figura decisamente controversa, soprattutto nel momento in cui diventa re (distaccandosi dunque dalla “pacificatrice” versione proposta da Olivier a suo tempo), focalizzando così in maniera personale un tema tipicamente shakespeariano, vale a dire il modo in cui la corona prende possesso del regnante – e sostanzialmente lo divora – e non il contrario. In tal modo, Michôd immette anche una disperazione del vivere, già presente nella prima parte, e dunque in tutta la fase delle bisbocce con Falstaff, allontanandosi anche da Welles, perché in The King il rifugio nel divertimento è già un sintomo di disperazione e di senso di colpa. Questo però non significa che l’esempio wellesiano non sia tenuto presente: lo dimostra, in particolare la scena della battaglia che si propala nel fango, così come succedeva in Falstaff, non mera citazione, ma anch’essa frutto di una intelligente scrittura. [a.a.]   

Lunedì 2 settembre 2019
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19.45
Pietro Marcello adatta liberamente con Martin Eden il grande romanzo di Jack London trasportandone l’azione da San Francisco a Napoli e dagli inizi del Novecento a un tempo indeterminato, disperso lungo l’intero secolo scorso. Il risultato è il film più complesso, compiuto e riuscito del regista, capace inoltre di cogliere l’essenza, attualissima di un libro ancor oggi pienamente contemporaneo. In Concorso a Venezia 76, uno dei migliori e più originali film della selezione. [e.b.]

18.20
Prima sortita di Yonfan nell’animazione, No.7 Cherry Lane è un film affascinante ed estenuante, programmaticamente prolisso, ricco di slanci creativi ed evidenti limiti grafici, in primis un utilizzo rivedibile della computer grafica. Nostalgico, sentimentale, molto personale, No.7 Cherry Lane ha il merito di smuovere le placide acque del concorso veneziano e di regalarci una parte finale struggente e visivamente significativa. [e.a.]

16.44
Presentato fuori concorso a Venezia 76, Woman è una galleria di ritratti femminili da tutto il mondo, opera di Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand, un inno alla varietà culturale dell’umanità, alla biodiversità di costumi, abiti, credenze religiose, ma anche una denuncia dello stato di arretratezza della condizione femminile in molte parti del mondo. Il tutto diretto in modo molto semplice: una carrellata di primi piani, con le intervistate che vengono inquadrate su fondo nero e sono riprese allo stesso modo, con la videocamera alla stessa distanza per garantire un’omogeneità nelle immagini. [g.r.]

14.30
Presentato all’interno della Settimana Internazionale della Critica, Scales è l’esordio della saudita Shahad Ameen. Nel racconto mitologico di una comunità in cui ogni famiglia deve sacrificare la prima figlia femmina, la regista realizza un film ancestrale ed elegante, fotografato da un bianco e nero senza tempo, ma forse eccessivamente dilatato e con qualche vuoto di troppo nella scrittura. Una sorta di cortometraggio allungato che però non impedisce di cogliere le potenzialità della regista e che tutto sommato culla lo spettatore in una favola sul rapporto tra natura, cultura ed elemento femminile. [e.b.]

Domenica 1 settembre 2019
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19.30
Presentato oggi in concorso Panama Papers (The Laundromat) di Steven Soderbergh è un nuovo, dettagliato, capitolo del grande affresco sugli Stati Uniti che il poliedrico regista va disseminando nella sua filmografia. Declinate in 5 capitoli narrativi, le dinamiche di causa-effetto dei famigerati Panama Papers vengono qui messe in scena con ritmo incalzante e un sapiente sfoggio di humour, per un apologo cinico e feroce sull’indissolubile relazione (e le relative malsane conseguenze) tra il denaro e i suoi più creativi utilizzatori: gli Stati Uniti. [d.p.]

13.58
Con colpevole ritardo (embargo, memoria e via discorrendo) buttiamo giù due righe su Joker di Todd Phillips, presentato in Concorso e accolto con comprensibile entusiasmo da buona parte degli accreditati. Risuonano ancora nelle nostre orecchie note e parole di That’s Life, ripensiamo alle corse chapliniane, ci crogioliamo negli omaggi (e rielaborazioni) al cinema degli anni Settanta, a Scorsese – Re per una notte, più di un inside joke(r). E poi la performance di Joaquin Phoenix, la costruzione del personaggio, che è poi il cuore pulsante del film, uno dei suoi piani di lettura. Joker è un libero prequel della trilogia nolaniana, è un parente non troppo alla lontana di Logan, è la nuova strada che Warner e DC hanno deciso di percorrere. Avanti così… [e.a.]

13.20
Abbiamo recuperato all’ultima proiezione possibile Burning Cane, evento speciale delle Giornate degli Autori che porta al Lido grazie all’accordo con Tribeca Film Festival l’esordio dello statunitense Phillip Youmans. Un lavoro senza dubbio imperfetto, e gestito in modo un po’ farraginoso. Ma non si può giudicare fino in fondo un’opera simile senza tenere conto di un fattore tutt’altro che secondario: Youmans oggi ha quasi venti anni, ma ne aveva diciassette quando ha girato il film. Scrivendolo, dirigendolo, fotografandolo e montandolo. Insomma, al di là dei dubbi (che rimangono in ogni caso) va sottolineato il coraggio e l’ambizione di raccontare, e di provare a narrare il proprio mondo. Anche con qualche felice intuizione visiva. [r.m.]

11.22
Torniamo con il pensiero a ieri sera quando è stato presentato al pubblico il nuovo film di Costa-Gavras, Adults in the Room, che ha portato fuori concorso qui al festival un film che un cineasta come lui non poteva non fare: il racconto della crisi greca, che per tanti anni è stata al centro delle cronache europee (e ora è stata scavalcata da quella britannica). L’autore di Z – L’orgia del potere non ha perso lucidità, sense of humour e spirito divulgativo, anche se nel mettere in scena tutti i retroscena politici della battaglia che vide contrapposti Syriza e l’Unione Europea, incarnando praticamente tutti i protagonisti di quel dramma (a partire da Varoufakis e Tsipras), convince poco proprio sul piano cinematografico, decisamente sciatto e buttato via. Resta però questo film una preziosa testimonianza che aiuta a capire e ricordare quanto è successo e perché, per via dell’ottusità dell’Unione Europea, stanno tornando i fascismi in tutto il Vecchio Continente. E resta anche la testimonianza, già sostanzialmente postuma, di quel che era il grande cinema civile europeo. [a.a.]

Sabato 31 agosto 2019
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18.19
Un incipit folgorante che si perde in uno sviluppo sempre più evanescente e confuso: una giovane donna, Elena, perde suo figlio in una tragica circostanza e immagina di ritrovarlo in un adolescente che frequenta la spiaggia in cui il figlio è scomparso. Senza avere il coraggio di spingersi in una love story, senza virare nel thriller, senza osare l’horror, insomma senza scegliere strade definite e definitive, Madre (presentato nel concorso di Orizzonti) resta incompiuto nelle sue due ore di ondivaghi sentimenti tra un’adulta e un ragazzino. Un’elaborazione del lutto, un percorso sentimentale, dotato di qualche spunto ma non molto appassionante. [e.b.]

18.17
Tra i film più attesi del Concorso di Venezia 76 c’era senza dubbio Ema, ultimo titolo di Pablo Larraín: stravagante, forzosamente estremo, frammentato ed ellittico, il film è la storia scombiccherata di una giovane ballerina che non riesce a prendersi cura del figlio adottivo e, assieme al marito, lo “restituisce” ai servizi sociali. La scelta non sarà indolore, ma darà modo a Ema di riordinare il proprio cosmo facendolo passare attraverso un caos catartico quanto strategico. Il film lascia il segno ma non per forza positivamente vista l’ambiguità del suo significato e la sovrabbondanza stilistica, ridondante anche rispetto agli orgiastici contenuti. [e.b.]

18.10
È stato presentato oggi alla Mostra in una sala gremita il restauro di Out of the Blue di Dennis Hopper (1980), teso e drammatico racconto di formazione ambientato nella provincia statunitense più disagiata a profonda. Con protagonista un’eccezionale Linda Manz (era la bambina de I giorni del cielo di Terrence Malick) e lo stesso Hopper, il film, che utilizza come leitmotif Hey Hey My My (Out of the Blue) di Neil Young (da cui riprende anche il titolo), è una parabola anarchica e tragica sulle scorie del sogno americano, diretta con maestria – numerosi e virtuosistici sono i piani sequenza – e un tangibile lavoro di direzione attoriale. A presentare il restauro, realizzato dai produttori John Alan Simon ed Elizabeth Carr con un sostanziale intervento del crowdfunding, anche l’attrice Chloë Sevigny (tra i finanziatori del restauro, insieme a Natasha Lyonne) che ha definito Out of the Blue uno dei film fondamentali della sua formazione cinefila, e a rivederlo sullo schermo non c’è dubbio alcuno di quanto buona parte dell’indie statunitense anni ’90 provenga proprio da lì. [d.p.]

17.48
La pratica cinematografica di Alex Gibney non ci è mai apparsa troppo cristallina, con quell’approccio insieme un po’ personalistico e un po’ da inchiesta presuntamente oggettiva, che resta il marchio di tanto documentarismo mainstream statunitense, a partire proprio da Michael Moore. Ma stavolta ci pare che con Citizen K, presentato fuori concorso qui al Lido, vada anche peggio del solito perché Gibney, nel raccontare la vicenda dell’oligarca russo Mikhail Khodorkovsky diventato oppositore del regime, realizza un film spudoratamente anti-putiniano, cosa che non sarebbe problematica di suo, ma che lo diventa nel momento in cui si pensa ai difficili rapporti tra Stati Uniti e Russia, al Russiagate che vede coinvolto Trump, alla campagna giornalistica anti-russa in atto da tempo al di là dell’oceano. Fatta la tara di tutto questo, ci si domanda: come è possibile assumere un posizione apparentemente oggettiva e distante su un tema come questo e come è possibile tenere fuori ogni coinvolgimento ideologico degli Stati Uniti nella faccenda (ovviamente gli americani – lasciamo perdere la follia di Trump – sarebbero ben lieti se Putin venisse rovesciato da Khodorkovsky). Tornano in mente i tanti action hollywoodiani del passato con i russi immancabilmente nella parte dei cattivi. Era cinema di propaganda, grossolano, scoperto, ma – come dire – sincero nella sua rozzezza. Ora invece questa nuova forma di cinema di propaganda, travestita da inchiesta, sembra ben più subdola e falsa, e dà sicuramente più fastidio. [a.a.]

17.28
Recuperiamo con colpevole ritardo un commento relativo al fuori concorso presentato al pubblico nella serata di ieri, Seberg di Benedict Andrews, biopic dedicato alla protagonista di Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard che ‘imbrocca’ giusto l’incipit per poi scorrere in maniera decisamente maldestra, e anche – forse involontariamente – maschilista, visto che la passione politica dell’attrice nativa del Midwest – qui interpretata da una spaesata Kristen Stewart – viene in qualche modo riletta solo come passione sentimentale verso uno dei leader delle Black Panther. [a.a.]

17.15
Quale anticipazione di Joker almeno una cosa la si può dire, e cioè che un accreditato anglofono è stato colto sul fatto in mattinata dalle maschere mentre registrava l’audio del film con un suo registratorino. È stato presto circondato da numerose maschere, con la gravissima accusa di pirateria. Ma poi pare essere stato perdonato e “rilasciato”. Riascoltando i nastri ci si è accorti – così commentavano poi alcuni addetti – che il pirata aveva registrato semplicemente la mefistofelica risata del Joker-Joaquin Phoenix. Chissà, forse per usarla come suoneria del telefonino. [a.a.]

16.40
È interessante notare come, nonostante la richiesta diretta della Mostra del Cinema, la stragrande maggioranza degli accreditati non sappia resistere alla tentazione di scrivere sui social network ciò che pensa di questo o di quell’altro film al termine della proiezione stampa. Sul concetto di embargo ci sarebbe molto da eccepire, ma una volta che viene imposto non dovrebbe essere difficile aspettare solo qualche ora prima di esprimersi. Dietro questa eversione non si cela purtroppo chissà quale sintomo di libertà, che sarebbe da promuovere e difendere, ma solo un narcisismo compulsivo. Nulla di così nuovo, dopotutto. [r.m.]

16.24
Alla Settimana della Critica è il giorno di Rare Beasts, esordio alla regia dell’attrice e cantante britannica Billie Piper: una commedia sentimentale a dir poco sui generis, condotta con brio e dominata da un’ironia sferzante, ma allo stesso tempo in grado di riflettere sul senso dell’amore come “obbligo sociale”, sulla genitorialità e sul terrore di sentirsi inadatti al mondo. Spassoso, tra le visioni più rinvigorenti della Mostra fino a questo momento. [r.m.]

Venerdì 30 agosto 2019
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19.15
Dopo le poco appropriate esternazioni della Presidente della Giuria Lucrecia Martel rilasciate a inizio Mostra, è finalmente giunto il momento di “giudicare” il nuovo film di Roman Polanski, J’accuse, che per il pubblico italiano diventerà L’ufficiale e la spia. Per raccontare le vicende politico-militari e legali relative al celebre affaire Dreyfus (la pubblica degradazione e il confino del capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus per mere ragioni di antisemitismo) Polanski mette in scena con rigore e tensione montante un film-inchiesta che si scaglia contro ogni ingiustizia commessa nelle stanze del potere e contro ogni discriminazione, per lasciar emergere, fuor di retorica e fosse anche per un breve lasso di tempo nella Storia, la verità e la giustizia. [d.p.]

16.55
In concorso arriva Mario Martone con la sua versione de Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. Un lavoro che segue fedelmente il testo originale salvo prendere nettamente le distanze nel finale, con una scelta che lascia molti dubbi. Gli stessi rintracciabili in una messa in scena che non svicola dal teatro filmato, quasi a sottolineare una subalternità del cinema rispetto al palco teatrale. Molti comunque gli esegeti. [r.m.]

15.03
Un tempo il fuori concorso dei festival più importanti includeva film di grandi autori ormai hors catégorie per partecipare a pari titolo alla competizione internazionale con altri registi meno acclamati. Ricordiamo ad esempio un anno qui a Venezia con film di Chabrol e di de Oliveira, per l’appunto fuori concorso. Invece, da qualche anno questa sezione/non sezione sembra aver cambiato natura, curiosamente sia a Cannes che a Venezia, anche perché i grandi autori di oggi (o i loro produttori) vogliono sovente competere a tutti i costi; va a finire perciò che in questo spazio si ritrovino a essere spesso selezionati dei documentari “politicamente impegnati”, il più delle volte poco interessanti dal punto di vista formale, guidati come sono dallo spirito di denuncia, come ad esempio Libero di Michel Toesca, l’anno scorso sulla Croisette. A tutte queste caratteristiche risponde The Kingmaker di Lauren Greenfield, incentrato sulla figura della vedova del dittatore filippino Marcos, Imelda, accumulatrice seriale di scarpe e di auto-incensamenti (lei avrebbe risolto il problema della Guerra fredda in una chiacchierata di un quarto d’ora con Mao). Così il film della Greenfield, che comincia come un ritratto della vedova, diventa man mano una aspra denuncia del ritorno al rischio totalitario del paese, rammentandoci quanto il trumpismo-salvinismo siano mali decisamente mondiali. Poi vabbè, fuori concorso ci sono anche la Archibugi e Salvatores, ma quello è un altro discorso. [a.a.]

14.43
Il primo film a competere per la Settimana della Critica (dopo l’apertura fuori concorso di ieri con Bombay Rose di Gitanjali Rao) è El Principe, esordio alla regia del cileno Sebastián Muñoz. Ambientato nel 1970, a ridosso della vittoria elettorale di Salvador Allende, El Principe è un film d’amore carcerario che può sembrare lo strano sposalizio tra il Jean Genet di Un chant d’amour e Il profeta – per la lettura piramidale dell’universo ergastolano. Non banale e non priva di coraggio, un’opera prima che cerca di ragionare sull’uomo, sulle sue pulsioni, sul suo desiderio di essere desiderato – e temuto, e idolatrato. [r.m.]

14.34
A proposito di Venezia Classici, cui si faceva riferimento anche in precedenza, nella giornata di oggi viene presentato il restauro in digitale di The Incredible Shrinking Man, vale a dire Radiazioni BX: distruzione uomo, caposaldo della fantascienza “umanista” che Jack Arnold diresse nel 1957 a partire da un testo letterario di Richard Matheson. Un’opera maestosa, visionaria e profondissima, infinita come il cielo stellato sopra di sé, sgraffignando le parole a Kant. Imperdibile. [r.m.]

13.20
In mattinata alla Villa degli Autori è stato presentato il progetto/cosa/non-film ghezziano, progetto che attualmente si chiama On ne saurait penser à rien e che, al momento del suo compimento, tra circa nove mesi, si chiamerà Gli ultimi giorni dell’umanità. Il progetto prevede la rimessa in circolo di un “anarchivio”, così come ghezzi stesso ha definito l’archivio di immagini da lui realizzate nel corso di più di trent’anni e che sono i tasselli di cui si costituisce il progetto/processo in corso. Ne abbiamo parlato già nei giorni scorsi, ma da oggi esiste anche un sito: ecce.dance e da oggi sul sito si può contribuire con un crowdfunding che sarà un aiuto indispensabile per terminare il film, o per non dargli mai termine, come ha alluso – volutamente in maniera illusoria – ad un certo punto ghezzi. [a.a.]

11.20
Per non lasciarsi annegare in maniera troppo brusca e traumatica nel “bagno” del cinema del “presente”, cosiddetto contemporaneo, ci si è rifugiati nel pomeriggio di ieri in una ristoratrice visione di Venezia Classici, Francisca di Manoel de Oliveira, suo capolavoro del 1981, apice e “conclusione” della sua carriera, che si è aperta e chiusa tante volte quanto più o meno possono essere le storie dei cinemi. Il maestro portoghese, bissando il precedente vertice raggiunto con Amor de Perdição trovava probabilmente l’unica chiave possibile per il film storico, il trasformarlo contemporaneo, non tanto nei costumi e nel linguaggio (che, al contrario, sono stupendamente “d’epoca”), quanto nel mostrare e nel suggerire la realtà del set, nel ricordarci continuamente il fatto che siamo spettatori di una messa in scena che trova la sua materialità e la sua ragion d’essere nel presente, nell’inattualità del presente. E allora gli sguardi in macchina dei personaggi, a volte di uno a volte di tutti coloro che sono in scena, non sono quegli sguardi in macchina da cinema delle origini, non sono auto-assertivi, né sono degli a-parte teatrali, ma sono uno sguardo al pubblico, allo spettatore, a ricordarci il ci siamo, l’esserci del racconto e del film, il suo svolgersi davanti ai nostri occhi. [a.a.]  

Giovedì 29 agosto 2019
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23.20
È significativa l’apertura della Settimana della Critica. Non è solo un buon film Bombay Rose, è soprattutto un’opera prima in grado di smussare le carenze del budget e di arginare le genetiche difficoltà produttive del cinema d’animazione. Servono soldi, ma sono ancor più utili idee e talento. Al di là dello stratificato contenuto e della costruzione narrativa, il lungometraggio di Gitanjali Rao può contare su una composizione cromatica a tratti abbacinante. Preziosismi estetici che emergono con forza da un’animazione inevitabilmente limitata. Un piccolo film destinato a lottare, ma che potrà sicuramente contare sul circuito festivaliero. [e.a.]

22.35
Presentato in concorso e accolto da giudizi contrastanti, Ad Astra è fantascienza umanista, minimalista, rarefatta ma pronta a improvvisi slanci spettacolari, a violente deflagrazioni. Cucito addosso al protagonista e produttore Brad Pitt, Ad Astra ripercorre le traiettorie tracciate da Civiltà perduta: l’esplorazione, l’ossessione, la solitudine, la fuga, la disgregazione dei rapporti affettivi. Gray continua ad alimentare il suo cinema bigger than life, a rimirar le stelle del firmamento e della settima arte. [e.a.]

19.35
Straziante ed esilarante, classico e inventivo, Storia di un matrimonio di Noah Baumbach riconferma il sofisticato talento del suo autore, qui intento a narrare la fine di un amore con un’estrema, toccante devozione nei confronti dei suoi interpreti: Scarlett Johansson e Adam Driver. Un prodotto Netflix in concorso a Venezia 2019.  [d.p.]

18.10
Sole, il primo dei due titoli italiani presenti in Orizzonti, è l’esordio alla regia di Carlo Sironi che, per raccontare l’incontro tra una ragazza polacca prossima a partorire e il ragazzo romano senza arte né parte che deve fingere di essere il padre del nascituro, sceglie di lavorare completamente di sottrazione. Un’operazione smaccatamente autoriale, a tratti un po’ facile ma non priva di una sua intima sincerità. [r.m.]

16.59
Si poteva fare a meno di prendere in concorso – e forse al Lido in senso generale – il nuovo lungometraggio della saudita Haifaa al Mansour. The Perfect Candidate è un concetrato di tutto ciò che sarebbe d’uopo evitare quando si maneggia il cosiddetto cinema “d’impegno civile”. Sciatto, retorico, semplicistico, il film di al Mansour concorre per il Leone d’Oro in virtù della rinuncia a partecipare a Venezia di First Cow di Kelly Reichardt (per una questione di costi insormontabili per la piccola produzione). Peccato – per Reichardt, e per gli spettatori. [r.m.]

16.12
Inizia ufficialmente anche la Settimana Internazionale della Critica: in attesa di spendere due parole sul film d’apertura fuori concorso (Bombay Rose della brava Gitanjali Rao) è giusto soffermarsi su Passatempo, il cortometraggio diretto da Gianni Amelio all’interno dei lavori bellocchiani di Bobbio. Un lavoro che punta sull’immediatezza per cercare di guardare al presente, a quel mondo mostruoso e disumano che si sta aprendo come una voragine e che tutto inghiotte. Così anche la mente più colta può cedere alla lusinga dell’immediato, come le parole crociate della Settimana Enigmistica. Diretto, anche brutale, e legegro nella sua sotterranea pesantezza. [r.m.]

15.29
Visto che oramai è nelle sale di mezza Italia possiamo spendere due parole sull’esordio alla regia del fumettista Igort, 5 è il numero perfetto, visto alle Giornate degli Autori. Un lavoro che parte dalla stilizzazione di Dick Tracy per arrivare alle “lacreme napulitane”, citate anche espressamente all’interno del film, che traduce in immagini in movimento il capolavoro letterario dello stesso Igort. Un noir intelligente, che lavora su Napoli cercando e in gran parte trovando traiettorie espressive non consoni, e sa muoversi nel cliché senza farvisi asservire. È in sala, non perdetelo. [r.m.]

Mercoledì 28 agosto 2019
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19.42
E invece il concorso si inaugura con il primo film francese di Hirokazu Kore-eda, La Vérité. Un’opera leggera, che sfiora alcuni dei temi portanti della filmografia del regista nipponico (i delicati equilibri nei rapporti famigliari, i dilemmi morali sulla menzogna, le ferite patite e le riconciliazioni possibili), e si dimostra un puntuale e profondo lavoro sulla sua protagonista, una monumentale Catherine Deneuve. Gioca col Mito, Kore-eda, e lo fa con estrema consapevolezza, oltre che con giocoso divertimento. Un film più intelligente che appassionante, più ironico che coinvolgente, ben incastonato nella carriera del regista che non rinuncia alla sua sensibilità ma la traduce e adatta per percorrere un territorio straniero. [e.b.]

19.24
Si aprono ufficialmente le Giornate degli Autori con Seules les bêtes, il nuovo film di Dominik Moll. Per quanto si registri una certa meccanicità nell’architettura narrativa, va riconosciuta a Moll la capacità di muoversi attraverso i generi, concentrando l’attenzione su un presente disperso, in cui si è smarrito il senso del concreto. In sala Perla la proiezione è stata accolta con un buon numero di applausi. [e.b.]

13.00
La conferenza stampa di presentazione della Mostra porta già le prime domande sulla presenza in concorso di Roman Polanski, “date le sue pendenze giudiziarie” (sic!). J’accuse sarà presentato in Sala Grande, senza delegazione, dopodomani. Prepariamoci al peggio. [r.m.]

12.04
Ha un che di confortante, nel suo immobilismo secolare, il Lido di Venezia, e con lui la Mostra stessa. Da oltre venti anni a questa parte (da quando seguiamo il festival) poco o nulla è cambiato, a parte qualche allestimento nuovo, qualche pittata di fresco, qualche luogo rinvenuto/scomparso. Tutto sembra immoto, durante la Mostra, cambiano solo i film da vedere in sala – e a volte anche quelli non più di tanto. C’è da rallegrarsi o da spaventarsi di questo? A ciascuno la propria personale risposta. [r.m.]

11.45
E così inizia anche questa edizione della Mostra, la numero 76. Come già accaduto lo scorso anno, per rispettare l’embargo richiesto dal festival, pubblicheremo aggiornamenti sui film solo dopo l’inizio della proiezione ufficiale. Su La Vérité, il titolo d’apertura che vede Hirokazu Kore-eda per la prima volta alle prese con una produzione francese, scriveremo dunque questa sera. In attesa di poter dire qualcosa sui film, ci limitiamo a osservare come l’aria condizionata in Sala Darsena sia ancora impegnata nella fase di studio sulla criogenia. Le temperature artiche servono forse a ricordare al popolo degli accreditati il dramma dei Poli? Chissà. Nel frattempo prima dell’arrivo del Leone d’Oro è previsto un nutrito palmarès di bronchiti, raucedini e febbri. Evviva. [r.m.]

Info
Il sito ufficiale di Venezia 2019.

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